Tampone Covid-19: niente di nuovo sotto il cielo

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In alto, ho posto la foto del frontespizio di un articolo del 18 marzo 2020 a firma di Cristina Tognaccini, ove sono rivelati alcuni dettagli sul test che finora ha evidenziato la positività per il CoronaVirus Covid-19.

Alla fine delle mie considerazioni, è riportato l’articolo in toto, che si attesta su un linguaggio molto tecnico, incomprensibile ai più, ma è in un linguaggio che io posso decifrare con naturalezza, perché è la mia lingua.

Ad un certo punto, leggo:” Su indicazione dell’Oms inoltre, poiché il virus potrebbe mutare, il test deve essere eseguito usando come primer per la Pcr (cioè la copia che si deve “appiccicare” all’Rna del virus), diverse sequenze, in modo che se anche mutasse, il test per la Covid-19 non risulterebbe negativo”.

In alcuni casi inoltre il tampone viene ripetuto anche in uscita, quando il paziente viene considerato clinicamente guarito perché “potrebbe continuare a contagiare” spiega Vella. “Si esegue per capire se la persona infetta deve stare ancora in quarantena o meno e valutare la contagiosità anche dopo la fine della malattia, che sembra essere lunga, almeno 10 dici giorni”.

Giusto lo scorso lunedì 16 marzo, Tedros Adhanom Ghebreyesus, capo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, in conferenza stampa, aveva ribadito l’importanza di effettuare il maggior numero di test possibile, “perché non si può fermare la pandemia da Covid-19 se non si sa chi viene contagiato e chi no”. 

Cerco di spiegare che cosa significano queste frasi, ma devo dire che, quando le ho lette, sono saltato dalla poltrona!

Il Virus Corona è del tipo ad RNA.

I coronavirus si attaccano alla membrana cellulare delle cellule bersaglio grazie alle loro proteine S che interagiscono con l’aminopeptidasi N della membrana.

Alcuni coronavirus possono legare l’acido N-acetil neuraminico grazie all’espressione della glicoproteina E3. Non è chiaro se la penetrazione della cellula sia effettuata mediante fusione del pericapside con la membrana plasmatica o per endocitosi.

All’interno del citoplasma della cellula il coronavirus rilascia il suo RNA a singolo filamento positivo che si attacca ai ribosomi, dove viene tradotto.

La traduzione comporta la produzione di una RNA-polimerasi RNA-dipendente (proteina L) che trascrive un RNA a singolo filamento negativo da cui poi è possibile ottenere nuovi RNA a filamento positivo del coronavirus, nonché le sette proteine che esso codifica.

A ciascun nuovo filamento di RNA positivo si associa la proteina N, mentre le proteine del pericapside si integrano nella membrana del reticolo endoplasmatico.

Un traslocatore trasferisce i nuovi nucleocapsidi nel lume del reticolo endoplasmatico; successivamente da questo gemmano vescicole che costituiscono i nuovi virioni che possono essere rilasciati per esocitosi.

Per Virus di questo genere, la metodica diagnostica usata attualmente è la così detta  Reverse transcriptase-polymerase chain reaction (abbreviato RT-PCR) o, in lingua italiana, reazione a catena della polimerasi inversa, è una variante della tecnica della reazione a catena della polimerasi (PCR). Questa tecnica consiste nella sintesi di una molecola di DNA a doppio filamento a partire da uno stampo di RNA. La molecola di DNA sintetizzata mediante il processo di retrotrascrizione è definita cDNA. Mediante l’impiego della RT-PCR è possibile convertire in DNA un intero trascrittoma (insieme di tutto il trascritto di una cellula) di uno specifico tessuto di un individuo in una specifica fase del suo sviluppo. Per tale motivo, la RT-PCR è una tecnica che viene sfruttata in laboratorio per studiare l’espressione genica, perché consente di sottoporre a ulteriori analisi il cDNA sintetizzato. Il prodotto della retrotrascrizione dell’RNA, anche detta Reazione First-strand, può essere amplificato mediante PCR classica, oppure essere quantificato mediante real-time PCR (qPCR).

Mi scuso se ho dovuto scrivere in linguaggio tecnico, che, però, traduco immediatamente in modo comprensibile.

Significa che il test impiegato usa un artificio per identificare il patrimonio RNA del Virus, sfruttando la sintesi del DNA corrispondente.

L’aspetto inquietante è che nella frase 

” Su indicazione dell’Oms inoltre, poiché il virus potrebbe mutare, il test deve essere eseguito usando come primer per la Pcr (cioè la copia che si deve “appiccicare” all’Rna del virus), diverse sequenze, in modo che se anche mutasse, il test per la Covid-19 non risulterebbe negativo”.

si fa riferimento a diverse sequenze, in modo che se anche mutasse, il test Covid-19 non risulterebbe negativo.

In poche parole, il test usa come interfaccia RNA-DNA delle matrici di qualcosa che non esiste e non si sa nemmeno se mai potrà esistere, con la preoccupazione di non avere falsi negativi.

In Laboratorio, un’impostazione del genere comporta l’ottenimento di una metodica sensibilissima, assolutamente imprecisa.

I test in genere possono essere sensibili (molti falsi positivi) oppure precisi (molti falsi negativi).

Questo concetto la dice lunga su quello che potrebbe accadere se, in un periodo come quello che stiamo attraversando, ci convinciamo che dobbiamo assolutamente identificare i soggetti che hanno positività per l’agente ricercato.

Se colleghiamo la positività del test alla malattia, e al rischio di contagio, se addirittura amplifichiamo in modo irreale i meccanismi per avere una positività, creiamo una situazione mostruosa, che con la clinica reale non ha alcuna correlazione.

Capisco che questo errore fatale di metodica è dovuto all’enfasi di operatori  abituati a lavorare in laboratorio, ma che non sono mai stato in un Ospedale, non hanno mai fatto il Medico e non hanno mai dovuto prendere decisioni cliniche, pur influenzando il comportamento di tanti Medici.

Questa è la svista madornale.

La conferma a ciò che sto dicendo viene dalle altre frasi evidenziate qui di sopra, ove altre persone hanno osato parlare dell’importanza, che non c’è, di tracciare la positività persino dopo che il decorso clinico dell’infezione sia completato.

Queste affermazioni sono illecite e sono gravate da un pregiudizio che non è giustificabile in nessun modo, perché ha generato la catena di crimini paranoici che stanno attanagliando il Mondo e la nostra nazione.

Non si fa Medicina in questo modo.

In questo modo si fa soltanto un terrorismo pericolosissimo.

Sull’esagerazione in corso e sulla sua pericolosità sociale è dello stesso parere il Dr. Tringali, Internista di Acireale, che ha espresso la sua opinione nel video relativo

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=2959860594076719&id=1615189335210525&sfnsn=scwspwa&extid=NIyvEr6PTCzZWo9U&d=w&vh=e

Per spiegarmi meglio, è come se inseguissimo come soggetto pericoloso una persona appena guarita da un banale raffreddore, sottoponendolo a test talmente sensibili da farlo risultare positivo persino per varianti del virus che nemmeno esistono ancora!

Chi prende il raffreddore, può riprenderlo nuovamente anche dopo pochi giorni, magari perché è stressato, non perché il virus si è trasformato in un killer che non molla la presa.

E se questa persona dovesse avere un’evoluzione nefasta, dobbiamo esaminare tutti gli aspetti, non solo la convinzione che il virus abbia determinato la morte. Per comportarsi in questo modo non servono tutti gli studi che alcuni di noi hanno sostenuto!

La svista sul contagio collegato alla pericolosità della malattia è l’origine dei fatti sociali gravissimi che ci stanno travolgendo, come anche è la causa dell’oscuramento delle indagini volte in altre direzioni, come l’importante concausa dannosa di farmaci e quella di altri gravi fattori, come il 5G e la contaminazione ambientale di vario genere.

Rivolgo il mio appello accorato:

”E’ indispensabile che gli operatori di ogni genere, Medici, Amministratori, Giornalisti e Politici, fermino per un istante ogni giudizio scontato e recuperino il senso della realtà, perché abbiamo tutti, specie chi ha le competenze sugli argomenti, una atroce responsabilità di ciò che sta accadendo. Non importa fare un passo indietro sulle proprie convinzioni già esibite. Qui, vince non chi è più testardo, ma chi è più umile e onesto!”

Salvatore Rainò  Immunologo Clinico – Internista

 

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Sanità e Politica
Covid-19, ecco come funzionano i test

Stefano Vella, virologo di fama internazionale, spiega i metodi diagnostici, in attesa delle analisi anticorpali che serviranno dopo l’emergenza. Intanto in Italia (e nel mondo) non c’è consenso su chi sottoporre a tampone: i dati registrati in Veneto suggeriscono l’importanza di isolare anche gli asintomatici

di Cristina Tognaccini18 Marzo 2020

 

I test diagnostici attualmente utilizzati in Italia per evidenziare la positività alla Covid-19, si basano sulla metodica molecolare di reazione a catena della polimerasi (Pcr), messa a punto in base alla sequenza genetica del virus Sars-cov-2, isolata dai ricercatori cinesi, come spiega Stefano Vella, virologo di fama internazionale, già direttore del Centro nazionale per la Salute Globale dell’Istituto superiore di Sanità, e ora docente all’Università Cattolica, e già presidente dell’Aifa. Con il cosiddetto tampone “si prende un po’ di muco (sicuramene infetto se il Sars-cov-2 è presente), dal naso e dalla faringe – continua – e si esegue la Pcr per identificare la presenza del virus nell’orofaringe”.

Su indicazione dell’Oms inoltre, poiché il virus potrebbe mutare, il test deve essere eseguito usando come primer per la Pcr (cioè la copia che si deve “appiccicare” all’Rna del virus), diverse sequenze, in modo che se anche mutasse, il test per la Covid-19 non risulterebbe negativo”. In alcuni casi inoltre il tampone viene ripetuto anche in uscita, quando il paziente viene considerato clinicamente guarito perché “potrebbe continuare a contagiare” spiega Vella. “Si esegue per capire se la persona infetta deve stare ancora in quarantena o meno e valutare la contagiosità anche dopo la fine della malattia, che sembra essere lunga, almeno 10 dici giorni”.

Il che, come racconta Vella spiegherebbe anche i casi in cui il virus è tornato: “In realtà – aggiunge – è possibile che non fosse mai andato via. Ci sono stati casi di recidive piuttosto che ricadute. Significa che il paziente considerato guarito è tornato a casa ma poi la Covid-19 si è ripresentata. Mentre i casi di re-infezione, molto rari, sono ancora da studiare”.

Nuovi test in arrivo

I test molecolari per la Covid-19 non mancano. Diasorin ne ha prodotto uno super rapido che dovrebbe arrivare entro fine marzo, che consente di ottenere risultati entro 60 minuti, rispetto alle 5-7 ore attualmente necessarie con altre metodologie e Roche ne sta per lanciare un altro anche in Italia. Mentre è già disponibile uno completamente made in Italy, Clonit quanty Covid-19 Ce-Ivd, sviluppato da Clonit in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano e l’Ospedale Sacco. Quelli anticorpali, invece, sono al momento in via di sviluppo. Anche perché, come sottolinea Vella, serviranno solo in un secondo momento, per valutare il quadro epidemiologico, cioè quanto si è diffuso il virus, non tanto per la diagnosi. “Perché per sviluppare gli anticorpi ci vuole un po’ di tempo”, precisa Vella, troppo per essere utili come test per la diagnosi veloce di infezione da Covid-19.

Tamponi sì, tamponi no

L’utilizzo dei test diagnostici per scovare il Sars-cov-2, divide esperti e istituzioni. Da una parte c’è chi come Franco Locatelli presidente del Consiglio Superiore di Sanità (Css), nella conferenza stampa quotidiana della Protezione civile (lunedì 16 marzo), ha dichiarato che sottoporre tutta la popolazione al test diagnostico per la Covid-19 “sia irrealistico e poco utile”. Chi invece come Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, pensa che sia la soluzione vincente, come dimostrano gli esempi di Vo’ Euganeo e della Corea del Sud. Dati, quelli veneti, che Andrea Crisanti, direttore della Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedaliera di Padova, che sta effettuando un lavoro di studio, supporto e approfondimento su alcune categorie dei servizi essenziali (es. cassiere dei supermercati, operatori dei servizi pubblici etc.) ritiene essere molto positivi.

Fare più test

Giusto lo scorso lunedì 16 marzo, Tedros Adhanom Ghebreyesus, capo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, in conferenza stampa, aveva ribadito l’importanza di effettuare il maggior numero di test possibile, “perché non si può fermare la pandemia da Covid-19 se non si sa chi viene contagiato e chi no”.  Con riferimenti soprattutto ai Paesi come Africa e Sud America (dove si iniziano a registrare i primi casi), ma anche a quelli occidentali e con epidemia in corso, come mostrano le elaborazioni grafiche pluri quotidiane (AboutPharma usa quelle di Tableau Science che ricorrono rigorosamente a dati ufficiali istituzionali).

Anche perché scovare e isolare anche i casi più lievi e asintomatici di Covid-19 sembra proprio uno dei punti cruciali dell’epidemia. Lo confermano molti dei focolai comparsi in Italia nelle ultime settimane. Come quello di Sassari passata da praticamente nessun caso a oltre 60 in pochi giorni, per via di un asintomatico che avrebbe contagiato un paziente ricoverato nel reparto di Cardiologia preso l’ospedale Santissima Annunziata.

Ma l’indicazione non cambia

Una pratica, quella di eseguire i tamponi su larga scala, non proprio seguita in Italia, dove si continuano a effettuare test solo ai pazienti che mostrano sintomi molto gravi da Covid-19 (come problemi respiratori) o contatti con persone risultate positive al nuovo coronavirus Sars-cov-2. Ranieri Guerra, rappresentante dell’Oms, in occasione della riunione del Comitato tecnico-scientifico nazionale del Ministero della Salute, ha sottolineato come le raccomandazioni dell’Oms per quanto riguarda le persone da sottoporre ai test non cambi.

“L’esortazione di Ghebreyesus, è di aumentare il più possibile l’identificazione e la diagnosi su casi sospetti e contatti sintomatici di casi confermati, secondo la definizione Oms” precisa Guerra. “Non viene suggerita, al momento, la raccomandazione di effettuare screening di massa”. Resta però la raccomandazione del Cts di sottoporre a tampone “gli operatori sanitari esposti al rischio contagio, per contenere quanto più possibile la diffusione del virus”.

Una pratica difficile in Italia

Lo Stesso Walter Ricciardi membro del Comitato esecutivo Oms e consigliere del ministro della Salute, in un’intervista a Mattino Cinque del 17 marzo, sostiene che al momento l’Italia non abbia la capacità per mettere in piedi una strategia di tamponi a tappeto, non solo per le risorse economiche ma perché servono “operatori bravi nel fare i prelievi e tecnici altrettanto bravi per eseguire analisi sofisticate”. Al momento, come precisa Ricciardi, in alcune regioni si fa fatica persino ad eseguire il test diagnostico sulle persone che presentano sintomi, come la febbre da diversi giorni e tosse. E aggiunge come sia fondamentale essere sicuri dell’attendibilità dei test. Il rischio altrimenti è di incappare in risultati non attendibili, come in Germania dove si sono registrati il 70% di falsi positivi.

Anche i dati pubblicati il 18 marzo sul quotidiano la Repubblica, confermano che eseguire uno screening di massa in Italia non è fattibile per diversi motivi. Il primo è economico, perché servirebbero circa 12 milioni di euro se si considera che le persone da sottoporre al test (dal costo di 15 euro l’umo) sarebbero almeno 800mila. Senza considerare la mancanza di risorse strutturali, come dipartimenti di prevenzione e laboratori, depotenziati dai tagli subiti negli anni e la mancanza di professionisti. Senza considerare che servirebbero forniture più vaste da parte dei produttori di reagenti, che già non riescono a rispondere alle richieste.

La strada del Veneto

Intanto però il Veneto va per la sua strada. Prima con uno studio epidemiologico condotto a Vo’ Euganeo, dove la popolazione è stata sottoposta (su base volontaria) a un doppio test all’inizio e alla fine della quarantena. “Dal confronto tra il ‘tempo zero’ (il momento della prima raccolta di campioni) e il ‘tempo uno’ (alla fine del periodo di quarantena) usciranno indicazioni inedite, come il tasso di trasmissione e di mortalità, il tempo di raddoppio delle infezioni, il rapporto tra positivi al tampone non sintomatici e i sintomatici, la curva di regressione della malattia, e la durata effettiva dell’infezione” aveva precisato la Regione in una nota.

Sergio Romagnani, professore emerito di Medicina interna all’Università di Firenze, su Scienza in rete scrive che tali dati “dimostrano che la grande maggioranza delle persone che si infetta, tra il 50 e il 75%, è completamente asintomatica, ma rappresenta comunque una formidabile fonte di contagio”. L’aspetto più interessante però secondo Romagnani, sarebbe che l’isolamento dei contagiati (sintomatici o non sintomatici) non solo ha evitato la diffusione del virus, ma ha anche protetto dall’evoluzione grave della malattia nei soggetti contagiati. “Il tasso di guarigione nei pazienti infettati, se isolati, era nel 60% dei casi pari a soli 8 giorni” scrive ancora.  Dato che secondo il professore, confermerebbe la sua ipotesi per cui eseguire i tamponi ai soli sintomatici è l’opposto di quello che andrebbe fatto. Validato anche dai dati della Corea del Sud, che ha seguito una strategia simile con dati di mortalità molto inferiori a quelli italiani.

Gli effetti delle politiche venete sulla Covid-19

Infine Dario Gregori, responsabile dell’Unità di Biostatistica, Epidemiologia e Sanità Pubblica dell’ Università degli Studi di Padova, con il progetto covid19ita, ha elaborato i dati a disposizione per verificare il possibile effetto delle politiche sanitarie implementate in Veneto a contenimento dell’epidemia Covid-19. I ricercatori in particolare hanno confrontato l’andamento prevedibile in base ai dati al 3 marzo con l’andamento effettivamente riscontrato in Veneto, per capire se parte o tutte delle azioni implementate abbiano avuto un effetto plausibile di rallentamento sull’evolversi dell’epidemia.

Ne è emerso che, i casi positivi che si sono evitati in Veneto, al 12 marzo, sono stati 348. Inoltre hanno registrato un rallentamento dell’epidemia rispetto al previsto, con 2,4 giorni “guadagnati” a parità di livelli di casi positivi, con un allentamento dell’epidemia, sempre al 12 marzo, pari a 15.91 casi/giorno, con un picco il 6 marzo di 40 casi/giorno in meno rispetto al previsto.

La politica di Zaia

Probabilmente proprio sulla scorta di questi dati, Zaia ha dichiarato di voler fare partire una campagna di tamponi a tappeto, nonostante le disposizioni ministeriali. “Con priorità a tutti i 54 mila lavoratori della sanità, a quelli delle case di riposo, e ai medici di medicina generale” ha riferito il governatore del Veneto. “Subito dopo toccherà a tutte le persone che hanno dei sintomi ma che, oggi come oggi, dovrebbero attendere la fine del periodo di osservazione. La filosofia è semplice: più casi isoliamo, più sicurezza creiamo”. Agli 11.330 tamponi al giorno annunciati da Zaia, andranno anche aggiunti i 10 mila che fanno parte del lavoro specifico di Crisanti, già ricordato, su alcune categorie dei servizi essenziali.

2 COMMENTI

  1. Grazie, questo articolo lo trovo preziosissimo, è “il punto di attacco” che cercavo per affrontare – da non esperto – quella che io considero per i prossimi giorni LA QUESTIONE NODALE: IL TEST . Dovrò sicuramente studiarlo ripetutamente per trarne tutto il succo. Cerchiamo di giocare un po’ di anticipo.
    Da umile commentatore di passaggio, che commenta in modo non tecnico, quella che lei dottore chiama “svista madornale” potrei chiamarla anche in realtà “la scelta cruciale”. Qui si entra però in un campo “del giudizio” che procedendo rigorosamente secondo il metodo scientifico, che vuole solo indagare preliminarmente i fatti, viene solo alla fine, non si può certo fare in alcun modo il “ processo alle intenzioni”.
    Ecco, questo è un momento storico epocale in cui tra gli altri fenomeni che ci devono trovare attentissimi di spirito e sani di giudizio, c’è quello che la politica scolorisce e decide di nascondersi dietro alla scienza, e la scienza con i nuovi dogmi diventa politica ( la storia ciclicamente si ripete in altre forme).
    Non mi stupisce a questo punto che il test messo a punto invece di essere tarato con precisione per rilevare un ben preciso target, ampli il suo focus a dismisura e diventi…..un test “che fa il processo alle intenzioni” del virus di mutare forma.
    Fortunatamente senza dover studiare anni e anni e prendere una laurea solo per potersi avvicinarsi un poco alla materia della salute e farsi una propria opinione, come vogliono i burloni della scienza, credo sia comprensibile a noi tutti che il test può essere visto come un qualunque strumento di misura che ha una sua taratura e campo di applicazione. E’ per tutti possibile con la semplice ragione, capire che la taratura di un qualsiasi strumento di misura pre-determina in un certo senso il risultato stesso delle misure.
    Visto che il test sarà probabilmente decisivo nel decidere alcune questioni fondamentali per ogni essere umano, bisognerebbe che gli aspetti della sua validità fossero approfonditi da un grande numero di persone: dai politici locali ai giornalisti a titolari di azienda che dovranno prendere le loro posizioni con la responsabilità della consapevolezza. Grazie di nuovo per questo approfondimento.

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