L’uguaglianza della povertà

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L’uguaglianza della povertà

 

Mi dico, nel profondo del mio silenzio, dentro di me, in quella singolare voglia di non parlare, mi dico che è finita l’epoca della parola.

La parola, che si presta al lavoro di appiattire la diversità di pensiero, l’intelligenza, la straordinaria fortuna di reperire diversità, per il solo fatto di “essere usciti di casa”, di essere andati a funghi nel bosco.

Il mondo, quella parola che usiamo per designarne le ultime spoglie dolenti, si appiattisce e rende ipotrofica la diversità, un manto di cose dette, uno alla volta, tutti insieme, ma prive di qualunque utile, intelligente, dimensione creativa e illuminante.

Volti grotteschi, con suoni grotteschi, che, oltre il suono delle parole, maledettamente tolgono la diversità della bellezza di un mondo che non esiste più.

Il tradimento della storia, dell’evoluzione della bellezza della vita possibile, attraverso l’insegnamento di chi non c’è più, che ora viene dimenticato e deriso, nell’insulso amalgamarsi di cose dette tutte uguali e tutte così poco pensate.

L’amnesia del senso della nostra diversità per esprimere in egual modo il senso della protezione legata a chi non c’è più.

E’ finita l’esperienza, è finita la gioia dell’intelligenza, resta soltanto una grande ondata di parole, tutte, ripeto, uguali, inopportune, che non dicono nulla di quello che si fa e non fanno nulla di quello che si dice.

Dovremo trovare nuovamente il modo di non parlare, come fa un bambino appena venuto al mondo, che non parla, ma potrebbe incamminarsi verso qualunque lingua e qualunque linguaggio.

Siamo, stranamente, divenuti tutti analfabeti, come coloro che non hanno potuto imparare a parlare, e a scrivere, tutti presi dal ripetere automaticamente cose che non conosciamo, che non siamo in grado di comprendere e che non vogliamo più sforzarci di riconoscere in qualunque loro possibile autenticità.

Che sia il silenzio, allora, come ora e sempre, la fucina del rinnovamento.

Che sia il silenzio quel soffio di vento che fa chiudere gli occhi e conduce ad immaginare nuovamente il senso dell’immaginazione.

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