Sensibilità Chimica Multipla – Intolleranza a Xenobiotici Ambientali (Convegno Regionale Comitato Umbro MCS) 30 maggio 2015

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SENSIBILITA’ CHIMICA MULTIPLA (MCS):

Diagnosi e Terapia Omeopatica

Salvatore Rainò

Medico Chirurgo

Specialista in Allergologia ed ImmunoIogia Clinica

Specialista in Medicina Interna

Omeopata Unicista Hahnemanniano (stemma d’oro della Docenza LUIMO)

PIRTSI (Polo Inventivo per la Ricerca Tecnologica e lo Sviluppo Innovativo)

Altamura, Puglia, Italia.

 

La sensibilità chimica multipla è una sindrome rara nella sua incidenza statistica? E’ rara, forse, nella sua particolarità etiopatogenetica? Chi renderà ragione della rarità a chi, comunque, ha disturbi che possono essere assimilati  alla MCS?

Quale tipo di scienza occorre per avvicinarsi alla comprensione di questa sindrome?  La sindrome non esiste, le persone che la manifestano, invece, esistono.

Siamo al dunque, quel quid, che rappresenta la svolta da un modo di fare medicina ad un modo di prendersi cura di chi non sta bene.

Non esiste maggiore precisione diagnostica di quella possibile di fronte all’incertezza diagnostica. E’ una questione di mezzi utilizzati per il riconoscimento dell’oggetto di osservazione.

Ogni volta che osserviamo qualcosa, quella cosa sta osservando noi. La sintonizzazione dei canali di riconoscimento conduce alla captazione della rete nascosta, che rappresenta il complesso di motivazioni tali da rendere possibile il manifestarsi della patologia. Come una rete wireless che sintonizza l’emittente con il percipiente.

La MCS fa parte di quelle malattie per le quali è ammessa una notevole serie di dubbi e controversie, ma lo spirito scientifico non deve costringere la comprensione del disagio alla nostra griglia conoscitiva prefissata. Non deve accadere che, di fronte alla difficoltà di estrapolare i nessi causali sospesi fra meccanismi e sintomi, si ripieghi, come alcuni fanno, nelle espressioni che tendono a negare l’esistenza del nucleo di sofferenza che una sindrome come quella chiamata MCS rappresenta.

La scienza organicistica, con i suoi baluardi, pone dei limiti angusti, per riconoscere l’ambito di pertinenza dei pazienti, che, però,  manifestano quadri complessi di sofferenza. Occorre che il Medico si riappropri di una forma di sensibilità, necessaria per poter spaziare nell’interpretazione, di risonanza, archetipica e simbolica del sentirsi malati e dell’esprimerne le connotazioni.

La forte componente psicologica e la poliedricità estrema dei quadri di patologia, lungi dallo smentire l’individualità della sindrome, devono, invece, ispirare letture che accedano a piani di conoscenza più flessibili e precisi, capaci di rimanere fedeli alla originalità dell’espressione, di cui ogni persona è capace, nella sua singolarità.

Il quadro organico, spesso incerto e sfumato, deve richiamare il Medico all’impiego di un modo di fare diagnosi che non parta dalla malattia, bensì parta dalla persona che, nel paziente, richiama la nostra attenzione sull’elaborazione della risposta più fedele alle modalità reattive, necessarie all’individuo, per adattarsi al percorso esistenziale, secondo la sua biotipologia.

L’oggettività non è da proporre come criterio esterno cui il paziente deve essere fatto corrispondere, ma come tecnica, per rievocare, nel sano, ciò che il malato esibisce nella sua spontaneità. Le sfumature cessano di essere considerate variabili non controllabili e diventano elementi di diagnostica differenziale, atti a conferire maggiore precisione nell’individuazione del rimedio, che corrisponde al paziente in quel momento.

Il riduzionismo scientifico non si presta ad essere lo stile più idoneo per diagnosticare i sintomi della MCS, ma si pone solo come background, per porre in risalto le sfumature funzionali, psichiche, emozionali, spirituali ed animiche della persona affetta da una sindrome, così impeccabile nella sua erraticità.

Le ridicolizzazioni interpretative, che permeano non pochi passi di Letteratura sull’argomento, servono più che altro a ricordare i limiti di un certo modo di avvicinarsi a ciò che noi vorremmo fossero gli argomenti. Non esistono argomenti, ma sintomi, e sintomi sono tutte le sfumature, di ogni genere, di cui l’essere umano è capace, per esempio, nel corso di una sperimentazione omeopatica.

L’entità nosografica è l’espressione della persona, nella sua articolazione possibile, e non il contrario. Un’estrema fedeltà ispira l’atto diagnostico omeopatico, nel momento in cui deve forzare la lettura per proporre un mezzo terapeutico.

Emerge l’inscindibilità fra sintomo dello sperimentatore e sintomo del paziente, che rende ragione del motivo per cui si prescrive il “simillimum”. Una crociera attraverso l’universo delle persona, con una rotta dettata dai fatti, di cui una persona è capace, sia nella salute che nella malattia. In Medicina omeopatica, non vi sono sintomi, nel paziente, che non abbiano una premessa diagnosticabile nel sano. I sintomi di malattia sono soltanto l’espressione più convincente del modo in cui il soggetto sano può scompensarsi.

La facile interpretazione psicosomatica del quadro di sofferenza non è oggettivabile come nesso spaziotemporale univoco di causalità, dovendosi sempre cercare la contemporaneità dei cambi caratteristici dell’assortimento sintomatologico di un rimedio, che sono capaci di esprimere, meglio, la realtà delle declinazioni possibile di una persona.

Nella valorizzazione dei sintomi appartenenti ai diversi piani di espressione  sintomatologica, occorre ricercare delle triplette di segni e sintomi, ricordando che fanno testo specialmente i sintomi particolari, comprendenti quelli peculiari, inusuali, inattesi e inesplicabili, così come, nel rilievo dei sintomi generali, occorre considerare le reazioni globali a situazioni ambientali, nonché i desideri e le avversioni, che si distinguano per la loro forza espressiva.

Il concetto di tripletta si riconduce alla indispensabilità di un numero di elementi che non sia carente (due), ma nemmeno eccessivo (tre) per giustificare il fatto che una congruenza espressiva sintomatologica faccia testo.

Non esiste una regola delle regole, ma regole della regola, in un insinuarsi conoscitivo, discreto e cauto, attraverso l’incarnarsi dei sintomi, dalla patogenesi sperimentale alla caratterizzazione speciale individuale.

I sintomi mentali sono, sempre e in ogni caso, quelli che accedono al motivo centrale della prescrizione di un rimedio. Resta da identificare il così detto keynote, quel sintomo che governa il senso della prescrizione ed autentica la correlazione con gli altri segni e sintomi, di ogni grado, per conferire tridimensionalità, e quindi precisione prescrittiva, al rimedio unitario, che contenga ogni sfumatura del caso, soltanto in sé stesso, nella sua irripetibilità.

Le varie possibilità di coprire segni e sintomi, con uno o più rimedi, che vi corrispondano, non dovranno sacrificare la precisione prescrittiva, che offre la conoscenza della coordinazione dei vari settori di competenza di un singolo rimedio. La natura del rimedio è percepibile nella sperimentazione sul sano e deve essere sempre tenuta presente, ogni qualvolta si vuole offrire il segnale giusto all’interezza psicofisica della persona, per suscitare la risposta che riporti all’omeostasi i sistemi.

I vari elementi diagnostici che l’allopatia utilizza per la descrizione della sindrome individuale non possono essere considerati come obiettivo di riconoscimento dell’individualità medicamentosa, bensì come coorte singolare, nel contesto di originalità della persona in toto.

La comprovazione miasmatica del valore di ogni singolo sintomo deve essere correlabile alla tendenza unitaria della persona, considerata  nella sua espressione prevalente, psorica, sicotica o luesinica. Ovvero, le note di carenza, di stallo, oppure di marcato disordine, devono essere estratte e riconosciute come la firma che certifica la correttezza della prescrizione omeopatica.

Le rubriche repertoriali per l’attribuzione dei sintomi ad un rimedio congruente devono sempre essere ispirate dalla sensazione globale che le modalità originali della persona suggerisce, nel rispetto assoluto dei piani mentali, indagando con attenzione , e senza induzioni, su eventuali percezioni illusorie che non si spiegano con fatti reali della vita della persona. In questi casi, siamo particolarmente precisi nell’identificazione di rimedi che possono anche capovolgere la prognosi della malattia, e, facilmente, condurre ad una guarigione assoluta.

Con questa sinossi, illuminata da una profonda esperienza clinica di diversi anni, ho voluto soltanto sorvolare le aree strategiche che presiedono ad una buona diagnosi e alla scelta del rimedio più corrispondente, che copra la parte più importante di quella espressione del paziente, che merita di essere effettivamente curata.

All’occhio dell’omeopata esperto, non vi è quadro che possa resistere al segnale giusto, capace di risintonizzare, in modo coerente, le tensioni e gli squilibri che sono capaci, dopo, fasi, anche lunghe, di tipo funzionale, di arrivare ad impregnare qualunque substrato organico, di qualunque persona.

La prognosi è guidata dai criteri di reversibilità, secondo la capacità della persona di esonerare i sintomi in direzione centrifuga, dall’alto in basso, da organi più importanti a quelli meno importanti, magari con l’espressione di  manifestazioni cutanee, con eventuale ritorno congruo di sintomi a ritroso nel tempo, rispetto a quello spontaneo di comparsa nella storia della patologia (Legge di guarigione secondo Hering).

Ovviamente, massima attenzione deve essere prestata a non sopprimere, nemmeno con la prescrizione di rimedi intermedi, questo ripristino della direzione dei sintomi, per non compromettere la possibilità di una guarigione profonda e duratura.

Tale ultima considerazione consente di sottolineare che, nel contempo, anche l’abitudine di voler eliminare fastidi, senza coglierne il motivo, con prescrizioni “rapide” e di apparente successo, può ingenerare, non solo malattia, ma, persino, interruzioni  di un percorso di risoluzione in atto.

 

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