La medicina omeopatica non è una scienza?

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La medicina omeopatica non è una scienza ?

 

L’arnica omeopatica è uno dei medicinali più conosciuti ed usati.

Alcuni ricercatori italiani dell’Università di Verona e dell’Università di Milano-Bicocca

hanno provato a dimostrare la sua efficacia in laboratorio applicando il metodo scientifico.

Questi ricercatori hanno voluto capire il meccanismo che spinge le ferite a

guarire più velocemente in presenza di Arnica omeopatica.

Quindi hanno preso una coltura di macrofagi, cioè hanno preso un

particolare tipo di globuli bianchi coltivati in laboratorio.

Li hanno trattati con Arnica a diverse diluizioni omeopatiche per 24 ore. Hanno notato che le

ferite guariscono più velocemente in presenza di arnica omeopatica.

Questo accade perché i macrofagi arrivano sul posto più velocemente.

Sostanze che mantengono pulita la ferita (tipo fibronectina) e che facilitano l’arrivo del

sangue (eparina) vengono prodotte in modo maggiore.

Quindi l’arnica omeopatica funziona agendo sull’epigenetica e non sui geni della cellula.

Arnica montana stimola l’espressione genica a matrice extracellulare nella linea cellulare di un

macrofago differenziato in fenotipo cicatrizzante.

Arnica montana (Arnica m.) è utilizzata per i suoi affermati effetti

antinfiammatori e riparatori dei tessuti dopo traumi, ematomi o ferite, ma i

suoi meccanismi cellulari e molecolari sono largamente sconosciuti.

Questo lavoro ha testato gli effetti dell’Arnica m. sull’espressione genica,

utilizzando un modello in vitro di macrofagi polarizzati verso un fenotipo

“cicatrizzante”.

La linea cellulare THP-1 umana del macrofago monocita è stata messa in

coltura e differenziata con phorbol-myristate acetate e Interleukin-4, poi

esposta per 24 ore ad Arnica m. centesimale (c) diluzioni 2c, 3c, 5c, 9c, 15c

o Control.

L’RNA totale è stato isolato e le librerie di cDNA sono state sequenziate con

un sequenziatore NextSeq500.

I geni con fold change significativamente positivi (sovraregolati) o negativi

(sottoregolati) sono stati definiti “geni diversamente espressi” (DEGs).

Nelle cellule trattate con Arnica m. 2c sono stati individuati in totale 20

DEGs.

Di questi, 7 geni erano sovraregolati e 13 geni erano sottoregolati.

La più significativa funzione di sovraregolazione è stata osservata su 4 geni

che hanno conservato una zona simile al fattore di crescita dell’epidermide

(p<0.001) e 3 geni di matrice extracellulare proteinacea, inclusi heparin

sulphate proteoglycan 2 (HSPG2), fibrillina 2 (FBN2) e fibronectina (FN1)

(p<0.01).

L’esame delle proteine ha confermato un incremento statisticamente

significativo della produzione di fibronectina (p<0.05).

Le trascrizioni sottoregolate derivavano da geni mitocondriali che

codificavano alcuni componenti della catena di trasporto degli elettroni.

Gli stessi gruppi di geni sono stati anche regolati incrementando le diluzioni

di Arnica m. (3c, 5c, 9c, 15c), anche se con effetti di minore entità.

Abbiamo testato ulteriormente il potenziale di guarigione di Arnica m. 2c in

un modello di chiusura delle ferite basato sulla motilità di macrofagi derivati

dal midollo, e trovato evidenza di un effetto di accelerazione della

migrazione cellulare in questo sistema.

I risultati di questo lavoro, considerati nel loro insieme, forniscono nuove

intuizioni sull’azione guaritiva e riparatoria dei tessuti di Arnica m.,

e individuano nella regolazione a matrice extracellulare da parte di

macrofagi un obiettivo terapeutico.

Pubblicato, come tratto dall’originale, su Pub Med.

 

Cari amici, non vorrei che pensaste che l’Arnica è soltanto questo!

Vorrei partire dal lavoro scientifico, i cui estremi ho riportato nelle righe precedenti, per complimentarmi per il modello di laboratorio utilizzato, che consente di presentare evidenze biologiche, con un linguaggio atto a fare breccia nel contesto del modo di fare scienza, che, sempre più, viene definito idoneo a dimostrare che gli strumenti utilizzati sono quelli giusti, scientifici, per l’appunto, e accettati dalla comunità accademica.

Tuttavia, la lettura di tale articolo non genera in me soltanto questa reazione di assenso, ma mi chiama al dovere di rendere ragione di piani molto più profondi, sui quali occorre arrivare, per poter fare un discorso, che rivesta caratteri di una scientificità diversa, in grado di poter osservare i sistemi nella loro splendida e complessa interezza, come, ad esempio, il profilo di un essere umano, oltre a quello di alcuni suoi soli macrofagi.

E’ una lunga storia, quella che mi fa scrivere così, come farò nelle prossime, mi auguro, chiare, anche se non brevi e non facili pagine.

Il modello omeopatico è stato spesso attaccato, sino ad usare le note di beffeggiamento più antipatiche, perché qualcuno, di volta in volta, affermava che non era possibile dimostrarne la scientificità.

La scientificità invocata è del genere di quella tracciata nel lavoro presentato dai ricercatori italiani dell’Università di Verona e dell’Università di Milano-Bicocca, in questa occasione.

Ripeto che mi complimento per il lavoro svolto, ma, ho avuto la fortuna di disporre di una formazione scientifica, che va oltre quella necessaria per apprezzare una metodologia del genere, il cui stile è da me stato applicato numerose volte, in occasioni di vario genere.

Possiede anche forme e strumenti di una scientificità diversa, meno laboratoristica e più umana, senza per questo perdere di ortodossia, anzi, direi, di un particolare rigore, che so tirare fuori quando meno uno potrebbe aspettarselo.

La parte più difficile degli insegnamenti dei grandi Maestri, quelli di Medicina classica, ma anche coloro che  mi hanno insegnato la Medicina omeopatica è stata proprio quella in cui io ero condotto, mano nella mano, a capire come si facesse a rimanere scientifici, pur parlando di emozioni, carattere, modalità reattive, sentimenti, percezioni mentali etc.

L’essere umano è Universo senza fine, ma dobbiamo imparare a navigarci dentro, almeno entro i suoi confini, che si dispiegano ogni volta che riusciamo a trovare gli strumenti giusti per poterci spingere un po’ più avanti.

Il discorso che nega la scientificità dell’intero funzionamento della macchina umana, se non la consideriamo smontata nei più piccoli pezzi, è pericoloso, insufficiente, ma, soprattutto di livello molto basso e non commisurato alla meraviglia dell’evoluzione della vita, che trova nell’Uomo la sua forma espressiva più altisonante, ove il valore aggiunto della complessità è impressionante rispetto alla somma dei valori delle singole parti.

Di questo voglio parlare.

La vita non sempre conduce gli individui a coltivare una forma di sensibilità profonda, per riconoscere i piani sottili del vivere.

I percorsi di studio effettuati, molte volte, impoveriscono, addirittura, le attitudini naturali volte in tal senso, ritendendole come aspetti poetici. Io aggiungo, come se la poesia non fosse anche scienza!

Paradossalmente, per diventare più scientifici, ci siamo persi, molte volte, gli stili più multidimensionali, come se avessimo perso la capacità di muovere contemporaneamente le mani mentre suoniamo il pianoforte e dicessimo che è scientifico muovere solo un dito.

Oppure, come se mentre ascoltiamo una sinfonia, decidessimo di farla a pezzi e sentire le tracce, solo una alla volta, studiandone ogni più minuta caratteristica, ma perdendo, ineluttabilmente, la soavità della fusione magica di ogni più piccolo aspetto assieme agli altri.

Smontare, un orologio, un motore, è come usare un così detto riduzionismo, che zumma bene i dettagli , ma toglie la visione di insieme, e soprattutto impedisce di godere del funzionamento che è possibile solo a macchina intera e che lega ogni destino più piccolo al destino globale, risultante dall’interazione attiva e dinamica di tutte le parti  microscopiche.

Il Riduzionismo è forse il contrario dell’olismo, ma sicuramente non fa sentire il suono della macchina che romba nella sua totalità.

Come il neofita non riesce ad eseguire le operazioni più ingarbugliate di procedure sofisticate dell’arte musicale, così chi non è stato formato a fare scienza all’interno del laboratorio della persona umana, attraverso le sue espressioni e le tonalità percettive che evoca, trova ciò, ineluttabilmente, poco scientifico, rifugiandosi nel laboratorio ove si esaminano le sue cellule all’interno di provette. Non basta.

Bisogna intendersi.

E’ ammirevole che si  riesca a dimostrare il comportamento di una parte microscopica di corpo, di fronte ad un umore biochimico che ne influenza la modalità, ma pochi sanno che alcuni medici omeopati sono in grado di  modulare le stesse funzioni, entrando dalla lettura dei comportamenti e somministrando il giusto rimedio omeopatico, e che questo comportamento è scientifico, di una scienza molto più difficile, sebbene più appagante, come suonare una melodia di un grande musicista al piano, dopo anni di perfezionamento.

Una fibrocellula muscolare liscia di un viscere si decontrae in provetta, grazie ad un antispastico, ma se riusciamo a farlo, agendo sulle tappe che precedono la fibra stessa, quelle mentali, quelle emozionali, operiamo meglio.

Tutti i piani investigativi servono, ma non bisogna disdegnare quelli che sanno muoversi nella totalità, specie se si tratta di quella totalità psicofisica che rende l’uomo simile all’immagine di Dio, voglio dire, assortita di trancendenza.

Stamane, mentre facevo la barba, di fronte allo specchio, per un gioco di luce singolare e fortuito, si vedeva bene una vecchia cicatrice sulla fronte, che, da piccolo, mi procurai mentre lavoravo vicino al motore di un go kart.

In condizioni normali, la mia cicatrice non si vede, ma stamane l’ho vista, facilmente, e ho ricordato il momento in cui essa si è creata, ben quarantacinque anni fa.

E’ utile puntualizzare che la cicatrice in questione è presente sempre, ma l’ho vista solo oggi allo specchio, per una luce speciale che la investiva.

Succede la stessa cosa, quando vogliamo parlare di alcune nostre altre migliaia  di caratteristiche, che ci rendono come siamo, ma che è molto difficile far diventare oggetto di osservazione scientifica.

Un contributo inconfondibile a questo tipo di lavoro è apportato dagli studi di medicina omeopatica, specialmente dalle sperimentazioni omeopatiche che, tramite assunzione di rimedi omeopatici, per lo più alla 30CH (ultramolecolare), vengono effettuate negli sperimentatori sani che accettano questo tipo di esperienza.

Le modificazioni sperimentali seguono le leggi di qualunque esperimento ben condotto, ma cambiano le situazioni e i linguaggi, rispetto alle sperimentazioni di un farmaco.

I rimedi non hanno materia, quindi i cambiamenti non derivano da un farmaco, quindi possono essere solo espressione della risposta spontanea dell’organismo ad uno stimolo, che, per implicito, il rimedio apporta.

Il modello sperimentale genera dei cambiamenti.

A chi chiede se è etico sperimentare su soggetti sani, rispondo chiedendo, a mia volta, se è etico sperimentare un farmaco su un sistema biologico malato, che non ci fornisce la limpidezza delle logiche reattive di un soggetto sano e normale.

Si pensi che la stessa compromissione della salute di una persona è in grado di alterarne le reazioni, rendendole anche imprevedibili, fatto molto più certo della capacità obiettiva di un farmaco di ripristinare l’ordine auspicato a livello globale.

A chi mi parla di placebo, rispondo che, nelle sperimentazioni con farmaci, quando un soggetto non esplicita gli effetti auspicati, dopo aver assunto un farmaco, si dice che è un soggetto “non responder”,  spostando la responsabilità della mancata risposta su di lui e sollevando il farmaco dal designarlo non efficace. Intelligèntibus pauca.

Vi è molta confusione.

Elementi certi sono quelli che attirano l’attenzione sul fatto che i cambiamenti esibiti dagli sperimentatori di un rimedio omeopatico sono molto complessi, poliedrici, investono piani funzionali, non solo fisici, ma, soprattutto, psichici, emozionali, intricati, più tipizzanti.

La capacità di un rimedio di mutare i piani di assetto mentale di una persona, e di farlo sempre nello stesso modo, fa capire ineluttabilmente che il centro della caratterizzazione di una persona è fatto di elementi mentali, emozionali, spirituali, e secondariamente funzionali e fisici.

Il modo in cui lavora un brillante medico omeopata, il sistema del simillimum, è suggerito dalla stessa sperimentazione dei rimedi sul sano, che hanno, ormai, due secoli e mezzo di sistematizzazione dottrinaria e scientifica.

Precisiamo meglio che anche il senso dimostrato da un modello di laboratorio cellulare, biochimico, come anche di sperimentazione su animali, pur essendo suggestivo per un certo modo di intendere la scienza, si presenta limitato, se consideriamo l’ammontare delle implicazioni sinergiche ed elettive di una persona nella sua interezza.

Attenzione, quindi, prima di puntare il dito, quando un medico omeopata, di quelli di alto livello, “sta eseguendo un pezzo di Chopin di tutto rispetto” (metafora), perché altrimenti rischiamo di rimanere al livello di uno strimpellatore da quattro soldi, che ha bisogno, se davvero ha il giusto talento, di almeno 10 anni di formazione ed esercizio per suonare allo stesso modo.

Mi scuso per il tono che, in queste ultime righe può sembrare duro, ma spiego e rassicuro che non è durezza, ma è semplicemente senso del dovere.

Venti anni fa, un importante Medico omeopata mi disse, per esprimere la sua simpatia, che pur essendo io un brillante medico allopata, mi spettava trasformarmi in un medico omeopata, suscitando in me un senso di disagio,  per cui non nutrìi per lui esattamente una grande simpatia.

Meno male che me lo disse!

La sperimentazione dei rimedi sul sano dimostra la declinabilità possibile dei processi vitali nelle persone, cioè quella impescrutabile miscela di aspetti ipo, iper e dis (carenza, eccesso e disordine), i quali, che piaccia  o meno, sono la base dei modelli organizzativi di tutto, di tutto ciò che impera, nella salute come nella malattia.

E’ sensazionale poter studiare i livelli di assortimento percentuale che esprimono i vari rimedi, che sono veri e propri personoidi e insegnano la vita.

L’omeopatia torna a investire aspetti umani di scientificità, indispensabile per comprendere come poter aiutare una persona in difficoltà, da  qualunque punto di vista.

Disumanizzare la scienza significa togliere la voce alla vita.

La Medicina ha bisogno di incorporare, all’interno dei modelli di formazione medica, dei sentieri poco battuti, che consentono al Medico di poter fare scienza, anche attraverso la conoscenza e lo studio delle più delicate sfumature della persona, che vanno sapute riconoscere, prima di tutto nel medico stesso, in formazione, e  che poi bisogna saper rendere elementi diagnostici e terapeutici.

Un bravo Medico  omeopata conosce molto bene l’esperienza dei sintomi mentali, che si portano dietro quelli fisici, sia nella sperimentazione che nella diagnosi e nella terapia.

La mistificazione non è quindi quella del Medico, che si occupa di omeopatia, ma, se non stiamo attenti, la mistificazione rischia di essere quella di chi  smonta tutto e non si occupa più dell’interezza.

Tutti gli approcci servono, ma, quando mi innamoro di una donna, la guardo prima di tutto in volto, negli occhi, vedo come cammina e come parla, lungi dal farle un prelievo di linfociti per vedere se ha maturato i recettori per una interleuchina oppure no.

Piuttosto, sono un buon Medico, se non dimentico che, alla luce della P.N.E.I. (psico-neuro-endocrino-immunologia), è possibile influenzare ogni più piccolo aspetto   biochimico attraverso il plasma dei vissuti, delle sensazioni e  delle azioni che vi corrispondono, e che i rimedi riescono a mediare eccellentemente.

Non voglio dilungarmi, perché conosco i limiti di tenuta di ogni discorso, per questo, prima di dire che non sopporto la scienza disumana, offro a tutti la possibilità di riumanizzare il proprio microscopio, leggendo semplicemente queste mie righe e occupandosi seriamente di medicina omeopatica.

Ma questo è un altro argomento, gravato da limiti davvero preoccupanti.

Approfitto per ringraziare, ancora una volta, il Preside della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Bari, che, al termine del 2016, ha avuto la lungimiranza e l’onestà di affidarmi il compito di “contaminare” la formazione medica moderna, con argomenti che di moderno hanno solo l’inizio della verità, dato che sono così moderni da essere ancora oscuri ai più, pur avendo già più di due secoli.

Grazie, Prof Gesualdo!

Vi saluto con un riferimento, che non ha nulla di casuale, alle prospettive di studio che il futuro vuole che io palesi, con ogni mezzo scientifico che possiamo immaginare.

Le leggi dell’omeopatia sono espresse secondo l’epoca in cui essa è stata sistematizzata, ma mi sono preso cura di mediarle, con i mezzi culturali e tecnologici, che oggi avrebbe usato anche il Dr. Hahnemann.

Questo è d’obbligo per me, che conosco l’antico dell’omeopatia, ma che voglio approntarne la veste futura e trarne gli insegnamenti più utili per una gestione futuristica del concetto di salute e malattia.

Grazie dell’attenzione.

 

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