Mi dia la mano

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Mi dia la mano

Vi sono dei momenti, nei quali, anche senza volerlo, possiamo cogliere la situazione per quello che è. Voglio dire che una realtà, diversa da quella confezionata, si pone dinanzi ai nostri occhi nella sua veridicità, come una bestiola incontrata nel bosco e non in cattività.

Esiste una serie di situazioni, selvatiche, ove il profumo della vita arriva per quello che è, come quando si prende un taxi, per andare alla stazione in un grande città.

Stamane mi sono seduto, come al mio solito, al fianco del guidatore. Erano le sette all’incirca e il taxi procedeva attraverso le “grandezze” di Roma.

Il taxista, di mezza età, sembrava una persona molto bonaria ed incline alla chiacchiera, motivo per cui io preferisco sempre dispormi nel sedile davanti, per sentire il polso della vita delle persone.

Il guidatore di taxi per lavoro incontra persone, fuori dalle righe, persone, di ogni genere, ogni livello sociale, e poi, sta in mezzo alla strada, tanto tempo, e osserva, ascolta, ma, soprattutto, sente pareri, disincantati, e ne esprime di altrettanto tipo, come gettare sassolini nello stagno, dalla riva, senza dover dimostrare nulla a nessuno, così per gioco, senza impegno.

E’ come fermarsi davanti al Bar e scambiare al volo due parole su che tempo fa.    Ad un certo punto inizia a dire che le corse, il lavoro, sono poche, e non riesce a vivere. Poi percorre un itinerario di racconti, per farmi comprendere come è cambiata la vita, negli anni.

Le persone non si muovono come una volta, offuscate da una realtà virtuale, in cui non sono più protagoniste del loro agire e libere di proporre, ma vengono incanalate in una macchina globale, che spunta ogni originalità, e prevede tutto, quando non si ha nemmeno una certezza.

Restano i ricordi di giornate piene di lavoro, di turni in cui, alle fermate del taxi, vi erano frotte di clienti, affaccendati ognuno per le proprie cose, pronti a percorrere la città, in lungo e in largo, per i propri affari, quando si guadagnava, quando si lavorava.

Poi continua. “Anche se non lavori, lo Stato non ne vuole sapere niente e devi pagare le tasse”.    “Altrimenti sono guai!”   Il tono con cui l’uomo racconta è pacato e rassegnato, e spesso risuona il suo intercalare: “così è”.  A significare che la presa d’atto della situazione non suscita nessuna rabbia in lui, ma solo la descrizione, bianco nero, del panorama evolutivo di un Paese che volge al letargo, in tempi di ritiro e di contrazione del grande cuore della vita sociale, che non respira più in diastole, che si ingolfa, in un collasso sempre più sistolico, stretto, contratto e privo di luce. Una grande cappa opprime anche l’aria contenuta dal taxi, un po’ vecchiotto, e con il tettuccio che mi pende sul capo trai capelli.

In un primo momento, avevo pensato che fosse la macchina ad essere bassa, poi ho capito che il rivestimento interno della cappottaera mezzo crollato. Il declino di un popolo si vede anche da quanta poca voglia c’è di riparare qualcosa di rotto.

Mentre guida, il taxista commenta la situazione delle strade, dei “sanpietrini”, cioè i mattoncini antichi per lastricarle, che saltano via, e lasciano montagnette e dislivelli, perché la qualità dei lavori è scadente, e le promesse dei sindaci si perdono nei gorghi di un contesto de-responsabilizzato. Anche in questo caso, il taxista commenta: “è così”.

Gli do un po’ di corda, per farlo parlare ancora, e ogni tanto commento anch’io, dicendo che ha ragione…e lui continua.  Mi sento come un medico, che sente il polso del suo paziente, e gli chiede la mano, e coglie tante informazioni sul suo stato di salute: è una visita, vera e propria.

Poi, meravigliato, dice che i politici, alla televisione, hanno ripetuto che la situazione sta migliorando, ma lui non riesce a capire. Mi chiedo se ha mai portato un giornalista nella sua auto, per accompagnarlo magari a dire le stronzate che dipingono di normalità i telegiornali e ogni servizio, per imbambolare la gente e tenerla buona, caso mai dovesse cambiare idea che vale la pena farsi i fatti propri, e tirare avanti nel grigiore percettivo, cui ci è chiesto continuamente di non reagire.

Atmosfera da film, ma molto diverso dai racconti dei nostri grandi nomi del cinema, che narravano della fontana di Trevi, delle camminate romantiche di notte a Trastevere, della luna chiara nelle piazze della capitale, dell’aria venduta in bottiglia dal grande Totò .  Lui, l’uomo, commentava del rischio di rapina, a portata di mano, con armi, anche questo… diverso dalle marachelle di qualche decennio fa.

Poi si passa ad altri racconti: si parla delle tasse e dei tributi vari, che vanno versati anche se non si guadagna, anche se non si fanno corse che mancano perché mancano i clienti. Si può fare una corsetta al mattino, stando attenti a non consumare le scarpe! Tutto si ritrae, ogni cosa si rimpicciolisce, e lascia quella disillusione tipica di processo di crescita interrotto.

Poi l’uomo racconta dei grandi negozi storici delle famiglie ricche di Roma, quelli che guadagnavano bene e che hanno dovuto chiudere perché nemmeno le luci delle vetrine potevano più pagare con quei pochi spiccioli, che rimanevano con qualche scontrino simbolico, ogni qualche giorno.   Ma la televisione ha detto che la situazione sta migliorando!  E chi glielo dice a Renzi….? …che il polso della situazione è senza pressione arteriosa, nel collasso, nello squallore di una società che torna a riciclare le pentole vecchie, mentre promuove “startup” fasulle, per alimentare i soliti sentieri di denaro extra, che non entra mai nel reale tessuto quotidiano della ricchezza indispensabile per vivere bene?

La decrescita non è necessaria, ma è imposta, a fronte di una ricchezza possibile, ma abortita, per il dispetto operato da alcuni governanti, che si ammantano ancora del ruolo di gestori della vita pubblica e del bene comune.

Il disvalore è parte del valore, mentre la ricchezza a l’eccellenza del vivere divengono come leoni in gabbia, data la loro inutilità sociale in un contesto così abbattuto.

Alla stazione, scendo e mi imbatto in un uomo, che chiamano barbone, che cerca qualcosa nelle buste dell’immondizia.

I soldati, con gli occhi luminosi, le tute mimetiche perfette, gli anfibi lucidi…li saluto e sorrido loro, mentre ricambiano con un sorriso ed un raggio di speranza nello sguardo.

Piango, senza lacrime, dato che sono finite anche queste, e non conviene spenderne, perché si pagano le tasse anche su di esse!

Il taxista mi fa notare che, a causa delle buche per strada, gli ammortizzatori si rompono in pochi mesi, ma probabilmente penso che non sia più di moda cambiarli, mancano i soldi…i giornalisti però non ne parlano, preferiscono parlare della ripresa economica, nel mondo delle meraviglie.

Mi chiedo quale dei lavori di rito sia più squallido, se quello di cui non si parla perché ci si vergogna oppure quello di cui non ci si vergogna perché non se ne parla!

Esiste una consapevolezza, diradata, affievolita, come un acquerello sbiadito, di una vita possibile e spensierata, in cui le persone sono libere di scambiare lavoro e servizi, senza pagare il pizzo ad uno Stato arrogante e beffardo che, con la scusa di fare il proprio dovere, impone un regime di vita disumano e senza speranza.

Ritorno sulla parola a me tanto cara, la prosperità, resa impossibile da un sistema sociale sempre più deviato verso l’idea del denaro come bene di deposito, anziché bene di scambio. Nemmeno se istituissimo uno sportello dove ritirare moneta complementare, si salveremmo, perché lo Stato vuole gli euro, per alimentare la propria sete vampira implacabile.

Ho saputo che le forze di Polizia vogliono insorgere, dinanzi alla casa del buon Renzi…penso che siamo proprio alla frutta; ma i giornalisti che cosa racconteranno questa volta? Ho appena saputo che la manifestazione è in corso, questa mattina, ma non sono presenti giornalisti!    Mi chiedo dove sarà la Polizia quando mani<festeranno i giornalisti!

Signori miei, quando lo scandalo non sarà più protetto, torneremo a non dover notare l’assenza di qualcuno dal suo posto di lavoro!

Ringrazio tutte le comparse dello spettacolo testé da me raccontato. Peccato che non siamo al teatro….questa è la vita ormai….e come dice il taxista: è così.

 

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