Dal bambino antico all’adulto moderno
I rapporti fra gli individui sono il banco di prova delle loro capacità a relazionarsi con l’altro. L’altro è l’individualità del prossimo che si discosta dalla nostra, perché siamo due mondi diversi, con le regole, però, di mondi identici.
L’immunità di un’entità vivente nasce per sapersi programmare nel riconoscere il self dal non self, il proprio dal non proprio, ciò che è costituente dell’entità in oggetto da ciò che gli è esterno.
Si presume che l’originalità dei costituenti di un organismo possa essere messa in discussione, oppure, addirittura, in pericolo da ciò che non gli appartiene. Un germe, una sostanza che entri, dall’esterno, nell’organismo, viene riconosciuta, osservata, definita “altra” e, possibilmente, disattivata o resa innocua.
Tale dottrina immunologica di base potrebbe, però anche essere frutto di una abitudine degli umani a contrastare l’esterno, come se, a priori, questo, potesse essere un pericolo.
L’attitudine a scontrarsi è solo una possibilità a disposizione dell’ente individuale, l’organismo, la persona, nei confronti del non sé.
Eppure, quando ci alimentiamo, stiamo introducendo qualcosa che viene integrata completamente nel nostro organismo sino ad esserne parte. L’altrui provenienza non è un ostacolo a farne parte. Far parte significa riconoscersi negli elementi comuni che sviluppano l’evoluzione dell’individuo verso altro e verso “l’altro”, che prima era estraneo e poi diviene tutt’uno.
Tutto questo dire, soltanto per allenarsi ai concetti dell’individualità e della condivisione.
Proviamo ora a considerare la relazione fra individui diversi, colti nella loro evoluzione, sia filogenetica (attraverso l’evoluzione di specie), sia ontogenetica (attraverso l’evoluzione personale). E’ come dire macrocosmo e microcosmo. Vi è una ineluttabile corrispondenza fra il piccolo ed il grande, nel senso che il piccolo ha qualcosa del grande e il grande ha qualcosa del piccolo.
Qualunque sia il codice di relazione fra due entità di qualunque genere, non è possibile coglierne le singole peculiarità , senza “contrapposizione identificativa”.
Spiego meglio: il sé riconosce il non sé, in quanto diverso, ma, se non identifica i criteri di identità, finisce per disconoscere anche un’ampia parte di sé.
Il divenire diversificativo dell’individuo, dal bambino all’adulto, ripercorre i tempi e le sequenze della crescita collettiva della specie, ma si riconosce continuamente nella totipotenza di incamminarsi nei più svariati percorsi possibili.
Il perfezionamento applicativo dell’esperienza individuale pregiudica ulteriori percorsi di crescita, nella misura in cui si scivola verso un versante pragmatico abituale dell’empirìa. Il fare, il credere di essere, lo specializzarsi, il detenere un primato in una modalità può compromettere le facoltà di accesso ad altre modalità, in cui l’individuo potrebbe raggiungere livelli espressivi superiori. Come quando si è sempre andati in bicicletta, ma si scopre che sui pattini si primeggia.
Schopenhauer (1788-1860) caldeggiava la dedizione ai compiti acquisiti, per non rischiare di perdersi in alternative meno confacenti. Io penso che abbiamo bisogno di perderci, come ricorda Dario Carmentano (artista contemporaneo materano nato nel 1960), purché rimaniamo dotati degli strumenti per osservare.
La serendipità delle scoperte insegna. Cioè trovare qualcosa, mentre se ne cerca un’altra. Solo gli sperimentatori conoscono la strepitosa emozione della scoperta, mentre ti stai occupando di altro. Come la vita, che accade, mentre ti stai occupando di altro.
Una caratteristica dei bambini, nelle loro prime fasi evolutive, è l’apertura verso gli altri bambini, quel senso di avventura nell’avvicinarsi a loro, la scoperta che brilla negli occhi, quando vincono l’abituale timidezza verso gli adulti e paiono sicuri di voler interagire con i propri simili. Poi invecchiano, diventano grandi, perdono la curiosità, entrano nello strategismo, che nega la spontaneità e irrigidisce i canali della comunicazione, con il risultato di un insufficiente flusso di informazioni e, spesso, di una deformazione pericolosa della captazione delle intenzioni dell’altro.
I bambini diventano adulti, come i preistorici entrano nella modernità, ma occorre crescere, conservando i primi mattoncini evolutivi della specie, come quelli dell’individuo. Stiamo dando tridimensionalità alle immagini, sollevandole dal piano in cui le ha posate la storia, stiamo, poi, dando movimento ai personaggi, come per animare un video, dopo aver inserito i vari fotogrammi, che non rendono a pieno, con la sola propria staticità.
Quando riusciremo a proiettare l’ologramma del video, nello spazio vuoto, in modo da poterlo guardare come se fosse realtà, allora saremo in grado di non contrastare “l’altro”, accogliendone tutte le asincronie, per muoverci nel tempo ed evolverci, grazie alla relazione.
Fra due individui (interi nella propria indivisibilità) corre la continuità della diversità riconoscibile. Una chance di ineguagliabile portata.
L’adulto diventa gli adulti, il bambino diventa i bambini, l’individuo diventa tutti, l’uno diventa gli altri.
Negli occhi dei bambini, specie prima dei tre anni di vita, quando giocano fra di loro, vi è la curiosità, l’innocenza, l’apertura alla scoperta, il senso dell’avventura, che si attenuano con gli anni a venire e diventano scetticismo, malizia, chiusura al mondo e staticità, con l’unico risultato possibile, una perdita di potenzialità del divenire umano nella sua globalità.
Alcuni bambini sembrano adulti, alcuni adulti sembrano bambini: sono più fortunati i secondi, a patto che sappiano incarnare in una dimensione ludica la serietà della relazione per avanzare e crescere.
Non abbiamo ancora citato la speranza, che illumina le dimensioni precedenti e le rende visibili a tutti, in misura diversa, soltanto per le asincronie di cui prima, che servono a rendere interessanti gli incontri.
Oserei dire che gli adulti sono sani quando non perdono la loro dimensione bambina. Ma chiedo scusa, se ripeto un concetto a me caro.
Quali sono le dinamiche che contribuiscono a custodire un sano sviluppo dei bambini? Quelle che non li fanno diventare troppo adulti in fretta e sul serio. Spendiamo due parole sui bambini e sugli adulti.
Il bambino, bambo, bimbo, che balbetta (da “bambaino”, in greco) è colui che sta costruendo il suo linguaggio, i codici, nelle prime fasi del riscontro delle proprie azioni, che modifica le proprie tecniche di approccio alla vita e si avvia a confermarne alcune, per sopravvivere. Tutto quello che, appena intuito, egli dimentica, poteva essere un’altra possibilità di evoluzione e di crescita utile a sé stesso e alla società.
L’adulto è il “cresciuto”, ma il suo etimo sconfina con quello di adultero che si riferisce, secondo etimologia, ad un fenomeno per cui l’individuo è corrotto. Ad ulteriora, quindi, attraverso la corruzione?
Si intuisce, nel linguaggio comune, che l’innocenza perduta contestualizza l’adulto. Come se fosse inevitabile diventare adulti, perdendo delle doti tipiche del bambino.
Pensiamo se, invece, un bambino accresce i valori della sua età, conservandoli per un futuro adulto che generi comportamenti differenti da quelli che rappresentano, a tutt’oggi, un vero e proprio problema dell’umanità.
Mi viene in mente che, secondo un buon senso comune, si tengono lontani i bambini dai soldi. Come per preservarli da un tema che gli adulti non riescono ad assimilare tranquillamente ad una dimensione rassicurante. Ma, allora, potrebbe essere importante tenere lontani anche gli adulti da questo argomento? Comunque sembra che gli adulti si siano abituati assai a vivere la vita di relazione, come se fosse incentrata sul denaro, che diventa lo spartiacque fra chi ancora non produce e chi partecipa adultamente alla vita sociale.
Quindi, il reddito, sarebbe l’indicatore di adultità? Siamo sicuri che non ci stiamo perdendo degli anelli cui potremmo agganciare la trama alternativa dell’essere adulti?
In un’altra stanza dell’inconscio collettivo, quella dei soldi, la dimensione del denaro, pur rimanendo seria, diviene poco degna di attenzione, quando si dice, per esempio che “l’importante è la salute”. Oppure…che i soldi non danno la felicità!
Ma oggi, le persone sono in grado di scegliere i valori sui quali conviene basare la propria vita? Qual è il perno su cui far ruotare le priorità, per diffondere all’intorno la gioia di vivere e imbastire relazioni costruttive fra gli individui? Tale aspetto, infatti, è sempre più carente, ma il peggio è l’organizzazione di veri e propri apparati sociali, incentrati sull’esatto contrario.
Potremmo provare a pensare diversamente per pensare che si possa provare. Promuovere ideali, al posto di azioni in borsa, riscattare la dignità della persona, invece che costringerla ad asservirsi ai rituali macabri del denaro.
Il denaro mi sembrava, da bambino, e ancora mi sembra, da adulto, una inutile complicazione della vita relazionale. Per questo provo continuamente a sbarazzarmene, gettandolo nei mille rivoli di relazioni appaganti, che producono un altro stile di ricchezza: condivisione, solidarietà, collaborazione per rendere evidenti tutte le prerogative più belle degli umani.
Un umanesimo moderno si aspetta che siamo capaci di trovare l’alternativa al denaro, ma soprattutto ai meccanismi che la psichiatria finanziaria propone come inderogabili, come le Banche, le tasse, ed ogni costrizione della libertà dell’uomo.
Anche per questo argomento, siamo asincroni, e ognuno giunge a capire in un momento tutto suo, che può preludere, però, all’alba di una nuova epoca di pace e benessere (non “benavere”) per tutti.
Occorre che i bambini antichi riempiano di favole le menti degli adulti moderni. L’adulto si guardi allo specchio e veda chi non è più e chi potrebbe tornare ad essere per garantire al bambino di non perdersi.
Grandissimo piacere, scoprire questo nuovo articolo, concepito in trasferta. In questa società, che dà tutto per scontato, anche la precocità dei bambini, è definita tale. Siamo noi adulti, che per inseguire le nostre carriere, e allo stesso tempo guadagnare, cerchiamo di far crescere rapidamente i nostri figli. Tutto inizia precocemente, dal distacco del bambino appena nato dalla madre, all’alimentazione, al modo di curarlo, a quello di educarlo, alle scelte per il suo futuro, insomma tutto presto. Non c’è più il tempo per fermarsi ed osservare la crescita di questi bambini. Si delega tutto agli insegnanti, dal nido all’università, così potremmo scaricare meglio le cose che non vanno. Per non parlare dei giochi elettronici, che hanno sostituito quelli che si facevano per strada, all’aria aperta, quando le macchine che circolavano erano pochissime. Forse, invece di continuare a correre, sarebbe il caso di riprenderci alcuni passaggi tanto utili alla crescita di ogni individuo, e direi della collettività, per una convivenza più armoniosa. Insomma, non possiamo dimenticare, che per diventare adulti, prima bisogna essere bambini!!!!!
Solo ora leggo l’ articolo ” Dal bambino Antico all’ Adulto Moderno”. Appena letto il titolo, mi si è aperta una porta nella mente, che ha evocato immediatamente il mio essere bambino-ragazzo, con la spontaneità di allora, che sento ancora adesso di non aver perso.
Quello che viviamo quotidianamente, però, mina a rovinare questa visione fanciullesca, che in alcune persone si nota al primo sguardo (a pelle), ma, devo dire, molto poche.
Ieri sera ho assistito alla celebrazione Eucaristica del novello prete di Santeramo Don Donato Colacicco, e nelle sue parole ho notato lo spirito Bambino, che tutti noi, nessuno escluso dovremmo conservare negli anni.
Ma mi chiedo dovremmo diventare tutti preti ??
Faccio i complimenti a Salvatore per queste perle che ci regala e desidererei condividere i suoi scritti con altre persone. Un abbraccio a tutti i lettori.