Biomedicina, etnomedicina, antropologia medica, metamedicina, fantamedicina

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Biomedicina, etnomedicina, antropologia medica, metamedicina, fantamedicina

Occuparsi della gente che soffre parla più che altro di chi se ne occupa. Infatti la gente non esiste, ma esistono le persone: ogni generalizzazione è più espressione di chi osserva, mentre se volessimo parlare delle persone non utilizzeremmo mai il termine “gente”.

Le branche della Medicina si configurano come veri e propri ambienti confinati ed isolati tra di essi. Ciò accade già all’interno di un tipo di Medicina, figuriamoci in Medicine diverse ed appartenenti a contesti culturali, sociali e politici anche molto distanti.

Occorrerebbe fare ordine, ma nel fare ordine ci perdiamo la possibilità di avvicinarci alla realtà per quello che davvero essa è. Immaginiamo di essere incontrati dalla realtà, di essere osservati da essa, come se “il caso” fossimo noi”. Che cosa accadrebbe? Quale idea essa si farebbe di noi? Con quali mezzi saremmo studiati ed in che modo saremmo classificati?

La realtà non è una persona, ma è la proiezione dei mezzi conoscitivi della “gente” che racchiude mille e mille volti e personalità, nonché itinerari di crescita e convinzioni più che religiose, le quali determinano una poliedricità dentro la univocità delle sembianze dell’obiettività (come …il cognato della sorella del cugino della zia del suocero dell’amico di mia madre…). Insomma, è  come essere dentro la stanza completamente rivestita di specchi e non riuscire a capire quale immagine è quella originale e quale invece è quella riflessa. Infine, forse, è persino inutile conoscere la direzione dello svolgimento percettivo, tanto è invece importante l’omogeneità dei mezzi di trasmissione del segnale riconosciuto in un ambito di codici depositati e vincolanti.

Il vincolo è garanzia all’interno del sistema, ma è limite nel momento in cui si vuole prestare attenzione ad una lingua diversa. Occorre tradurre, occorre interpretare, occorre decifrare, per non perdersi l’opportunità di accedere a verità “altre”, non meno vere della verità abituale, nel momento in cui ci troviamo in terre lontane dalla nostra.

Nell’afferire alla Medicina, le scienze si insignano di ufficialità nella misura in cui il sistema è chiuso e limitato: significa che il rigore è necessario per svolgere le equazioni, ma soltanto nel sistema matematico prescelto. Esistono aree ove la nostra percezione dell’obiettività non fornisce ragioni dell’esperienza stessa.

E’ questo il caso del curare una malattia con mezzi diversi da quelli ufficiali nell’area che stiamo considerando, lo scandalo, la riserva, l’opposizione e quanto altro possa togliere la licenza di efficacia ad un metodo.

Su quale cattedra si pongono gli strumenti per decidere? Quale esperienza conforta le prove? Quale opinione viene utilizzata per assecondare lo svolgimento di un pensiero “diverso”?

Quanto tempo lasciamo all’oppositore per farci le domande e quanto tempo abbiamo noi per rispondere ad esse? Quanta disponibilità ha chi dice di ascoltarci ed invece non vede l’ora di recitare le sue assolute ed inderogabili certezze?

Quanto spazio vuoto ha dentro di sé chi dovrebbe fare spazio al nuovo ed aprire le porte per il cambiamento?

I metodi vengono usati come vessilli di veridicità, entro i limiti del riconoscimento pubblico, ma le coscienze più avanzate non possono essere annoverate nell’indole pubblica, bensì in una cuspide eretica appuntita che non può miscelarsi con la scontatezza delle persone riunite sotto forma di gente.

Eppure, all’interno delle comunità rappresentative più ufficiali, esistono isole di chiarezza individuale, la consapevolezza,  che rappresentano la mina del sistema stesso e che vengono continuamente disinnescate dalla paura, dal conformismo, dalla sicurezza delle regole, dal tornaconto personale che è protetto ed auspicato dall’ordine. Della serie….tutti sono d’accordo quando sono insieme, ma nessuno è convinto quando è solo.

L’etnomedicina è legata all’egregore di un popolo, ma visto nella sua impersonalità più bieca e sciocca, mentre assume toni esoterici nel momento in cui è alimentata da conoscenze talmente specifiche ed avanzate da superare la proponibilità “normale” e “sicura”.

L’avanzamento appartiene ad ambiti ristretti e adombrati che non possono venire alla luce se non si crea un nuovo gruppo che si alimenta dei comuni meccanismi di approvazione ed autorizzazione.

Occorre che le coscienze dei singoli si rivedano in una nuova egregore per rialimentare la verità e andare avanti.

Così la fantascienza diventò scienza, l’immaginazione soppiantò i limiti conoscitivi ed assurse a livello di mezzo fruibile per tutti, come i telecomandi, i telefonini, la risonanza magnetica  nucleare.

La fantamedicina diventò Medicina, ma solo nella misura in cui l’uomo ha aperto gli occhi per riconoscere l’attuazione pratica dell’impossibile.

La biomedicina alimenta regole e ruoli che a loro volta rinforzano le regole, ma senza che vi sia veramente una disponibilità al cambiamento e all’avanzamento, fatto questo che si contrappone alla rilettura della storia dell’umanità in termini realistici.

L’antropologia medica riconnette i comportamenti alle ragioni sociali, ma apre i ponti con il futuro soltanto nel momento in cui accoppia la fantasia all’immaginazione propositiva e tollera modelli alternativi per la comprovazione delle svolte.

La metamedicina, come l’etimo consente di capire, viene “dopo”, dopo le certezze, dopo i protocolli, dopo gli accordi, verso l’alba di un nuovo giorno che illumina le cose in modo diverso, ma necessita di silenzio e disponibilità all’ascolto. Essa può offrire scampo alle persone disperate perché infisse nei loro ruoli e senza la possibilità di riconnettere la propria progettualità conoscitiva con il compito etico all’interno del contesto sociale.

Molti dipendenti sono pagati per non capire, per non farsi domande, per lavorare troppo, ma inutilmente, per non distrarsi, altrimenti potrebbero accorgersi che stanno servendo una causa che non corrisponde alla reale percezione divina dell’importanza del proprio lavoro.

E’ giusto dire che a tutto presiede la cultura che si vuole utilizzare per accertarsi della validità dei mezzi impiegati. I mezzi impiegati però non possono necessariamente costituire la “cultura”  per certificare i processi di approccio al reale e tanto meno per giustificarne lo svolgimento immutato.

Occorre onestà: appartiene al mondo dell’infanzia.

Occorre semplicità: appartiene ai bambini.

Occorre poesia: appartiene ai poveri.

Occorre pulizia: appartiene ai Santi.

Occorre umiltà: appartiene ai poveri di cuore.

Occorre spirito di servizio: appartiene ai magnanimi.

Occorre benevolenza: appartiene alle persone che non hanno nulla da perdere.

Occorre  la verità: appartiene a chi non ha potere.

Dovremmo rivedere i ruoli alla luce di tutte quelle caratteristiche che vengono superate dalla così detta condizione adulta, che facilmente nasconde cinismo, inerzia e crudeltà.

3 COMMENTI

  1. luce! capacita’ di dar voce, forma, sostanza ad un pensiero impossibile da acchiapare per chi si sente al buio. Grazie..

  2. Ogni volta che leggo dei nuovi articoli, riesci sempre a stravolgere il modo di vedere le cose…
    spesso Ti sento dire:
    “L’uomo più inutile del Mondo ” non so a chi Ti riferisci…
    Complimenti per l’articolo che spero serva a tanti che in momenti di debolezza fisica e psichica possano trarre giovamento dai Tuoi scritti… un abbraccio

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