“Violenza in medicina”

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1941

Violenza discende da violare.

Violare da Vis: forza.

Forza da Fortia: forza.

Forzare: costringere.

Attraverso la forza si costringe con violenza! Non posso che ricondurmi al cammino che ho percorso fin qui per capire. E’ come se avessi percorso luoghi durante un viaggio senza meta.

Adesso, da tempo, sono nel luogo del silenzio. Il silenzio della sicurezza, l’assenza di propositi di forza, la pace della domanda senza l’ansia della risposta.

Quando ero bambino…mi chiedo. Mi chiedo che cosa sentivo dentro di me quando ero bambino. E me lo ricordo. Lo ricordo nel senso che è lì limpido nella sua vibrazione, ma anche che mi fa piacere ricordarmelo, come se non fosse il caso di scordarlo.

Esiste un luogo della nostra interiorità dove vi è un silenzio che impera senza costrizione. Egli, il silenzio, è come un angelo che ci sussurra soltanto che cosa dobbiamo fare. Il silenzio è una dimensione bambina che ascolta, perché non sa parlare, e cerca soltanto la strada per iniziare a chiamare le cose. Così si cercano i significati delle parole. Ma tutti sanno che cosa significa angelo.

Tutti sanno che un angelo è amico e che spiega qualcosa con dolcezza. Tutti sanno che non serve dire di no all’angelo.

Da bambino, nella mia parte bambina, voglio dire, cerco soltanto un silenzio gentile e facile che mi porta via dal mondo delle parole e mi spiega un linguaggio universale che non ha bisogno di linguaggi. Dunque comunicare senza parlare, senza lo sforzo di imparare una lingua.

Comunicare chiudendo gli occhi, tacendo, dentro e fuori. Meglio non chiamare questa cosa e fare come gli analfabeti, che però possono esprimersi davvero come vogliono.

Esistono alcune parole che tutti conoscono e che forse non si sono mai imparate. Non se ne ricorda il momento dell’inizio, non si ricorda e non ha senso sapere quando le abbiamo sentite la prima volta, perché forse non c’è una prima volta. E’ un sapere senza sapere, senza stratificazione storica di acquisizione. Come se non vi fosse inizio, come se non potessimo nemmeno noi spiegarlo a nessuno. Un sogno, meraviglioso, fatto della nostra migliore realtà.

Quante volte siamo capaci nella nostra vita di dimenticare chi siamo? Vogliamo a tutti i costi essere qualcuno che non è quasi mai d’accordo con la nostra parte bambina. La nostra parte bambina, quella che non perde mai il ricordo di noi. Anche l’uomo più spregevole è stato bambino, ma non ricorda. Ha “imparato” troppe cose e troppe cose hanno voluto “insegnargli”.

Lo sguardo di chi ormai è in alto non ha espressione, la pupilla è incantata, le labbra ferme e distese fra la vita e la fine del tempo. Nulla può insinuarsi nella luce degli occhi che guardano lontano. Sembra che essi guardino qualcosa che non esiste fuori ma soltanto che trasmettano l’infinito della vita che ci guarda.

La bibliografia delle emozioni non esiste, non è di nessuno ed appartiene alla poesia della coscienza comune. Finalmente la nonviolenza. L’assenza di qualunque spasmo che costringa la nostra intelligenza a forzare qualcosa. Esiste un tempo per tutto e tutto ha il suo tempo.

Come possiamo capire i tempi? Senza sforzo, senza pretendere, senza chiedere, senza costringerci.

Non esiste inizio e fine quando si vuole capire.

Tale è la parte bambina di me che vola nella parte alta del cielo che ho dentro. Tale è lo spirito che mi ha fatto studiare, che ha dato la forza alle notti di sacrificio, che mi sostiene nelle fasi dure e di ingiustizia, che mi fa sopportare e capire la violenza anche quella contro la mia dolcezza, che è la dolcezza della vita che mi attraversa.

Non conosco cultura che non abbia un cuore che le batta dentro. Non dimenticherò mai lo sguardo dei miei pazienti che cercano dentro i miei occhi la risposta più importante.

Stamane ho levato il mio corpo alle due e mi sono portato attraverso l’aria fresca del paese al mio studio dove ho chiesto al computer di volermi tenere compagnia nel lavoro di raccontare la parte più bella della mia vita, quella dedicata agli altri per non tradire me stesso.

Peccato che certe cose non possano essere fatte senza sacrificio, ma anche questo è molto semplice e sarebbe violento con capirlo. Che bello fare un sacrificio, sapendo che non è doloroso come rinunciare alla vita. Fare qualcosa di sacro, dedicato alla nostra parte divina. Volete che Dio abbia orari? Come la vita non chiede a che ora può iniziare, così le sue espressioni più preziose sono libere dai nostri schemi di tempo ed hanno il loro tempo che è sintonizzato con l’universo e non necessariamente col sistema solare.

Il fluido vitale che anima il mio corpo gli chiede di collaborare, ma non esiste altro che un soffio a farmi fare le cose più belle. Quindi le cose belle che posso fare sono di esclusivo appannaggio della mia parte immateriale.

***

Quanto può essere violenta l’azione di un medico? Fino al punto che egli stesso non riesca a riconoscersi come uomo, come persona complessa, e pensi soltanto che il fatto di essere medico gli conferisca il potere di demandare solo alle nozioni l’intima sua natura di sorgente d’amore e di aiuto per i suoi pazienti.

Violenza in medicina è fare diagnosi senza ascoltare la persona, senza incontrarla nella sua totalità anima-corpo-mente, dimenticando la fortuna che il lavoro del medico offre nel consentire una conoscenza profonda del prossimo.

Violenza in medicina è costringere il paziente ad essere tale, senza farlo sentire importante per quello che egli è soprattutto al di fuori delle vesti di ammalato.

Violenza in medicina è dimenticare che anche la malattia rappresenta un momento di relazione sociale specie per chi ha bisogno di aiuto, ma anche per chi l’aiuto pensa di poterlo offrire.

Violenza in medicina è ridurre la persona che non sta bene soltanto ad un agglomerato di sintomi di patologia da riconoscere per la loro corrispondenza con le descrizioni dei libri che parlano delle malattie, senza riconoscere la dignità di chi abbiamo di fronte e senza valorizzare gli elementi non medici che permetterebbero al malato di riconquistare la salute.

Violenza in medicina è essere medici e curarsi con l’omeopatia assieme ai propri cari, senza cambiare il proprio modo di lavorare quando siamo chiamati a prenderci cura dei pazienti che invece continuiamo a trattare come se non avessimo conosciuto i vantaggi dell’omeopatia.

Violenza in medicina è mancare di scongiurare i pericoli della eccessiva medicalizzazione di ciò che chiamiamo medicina, spersonalizzando quella che rappresenta forse l’occasione più densa di umanità fra i comportamenti professionali del nostro sociale.

Violenza è ritenere che fare il medico sia soltanto una professione e che invece il “fare medico” non sia uno degli aspetti più importanti della missione di prestare attenzione agli altri.

Violenza in medicina è formare medici che non siano chiamati, stimolati, provati alla parte più bella e delicata dell’atto medico.

Violenza in medicina è costringere i pazienti, cioè il nostro prossimo, ad atti che noi non praticheremmo a cuor leggero su di noi o sui nostri cosiddetti cari.

Violenza è pensare che noi medici abbiamo dei cari dei quali valga di più la pena prendersi cura.

Violenza è pensare che un giorno noi medici non possiamo soffrire per la stessa superficialità e disumanità con cui noi trattiamo i nostri pazienti.

Violenza in medicina è convincersi che il modo in cui lavoriamo sia il migliore e non possa subire esami e modifiche soprattutto da parte della nostra coscienza.

Violenza in medicina è promuovere pratiche e protocolli dei quali non siamo veramente convinti, pensando che non abbiamo colpa soltanto perché in questo modo non ci discostiamo dal fare comune ed approvato.

Violenza in medicina è pensare che rispettare i diritti dell’ammalato possa essere solo una questione di giurisprudenza.

Violenza in medicina è promettere risultati con le proprie metodiche senza informarsi dell’eventuale maggiore efficacia di quelle utilizzate da un altro nostro collega, magari facendo finta di non averne sentito parlare o smentendone la validità senza previa adeguata informazione e comprensione di ciò che stiamo omettendo o addirittura denigrando.

Violenza in medicina è impedire alle persone di rendersi conto che la vita e la salute sono beni preziosi, delicati ed anche misteriosi e che, per nulla è scontato che un atto medico sia l’unico mezzo per garantirli.

Violenza in medicina è consentire che la formazione medica non si arricchisca e non si basi addirittura sulla convergenza delle scienze più nobili che si dedicano alla conoscenza profonda della vita.

Violenza in medicina è pensare che i sentimenti, le sensazioni, le storie di vita non siano importanti da conoscere per la comprensione realistica della situazione medica e per l’eventuale terapia da utilizzare.

Violenza in medicina è pensare che il paziente grave non possa ascoltarci e non possa soffrire ed aggravarsi di più solo perché noi non prestiamo attenzione a tutte le sfumature che il rispetto e l’amore per l’altro imporrebbero a maggior ragione in situazioni gravi.

Violenza in medicina è essere indifferenti alle richieste di comunicazione del paziente che non siano strettamente pertinenti ciò che chiamiamo prestazione medica.

Violenza in medicina è fare solo quello che riteniamo di nostra pertinenza evitando di fare anche quello che inoltre sappiamo di certo di poter fare bene e a vantaggio del paziente.

Violenza in medicina è ritenere che basti solo un responso specialistico alla persona che ci ha consultato come specialisti.

Violenza in medicina è competere con il collega per il dominio della malattia dei pazienti, dimenticando che la malattia è solo uno degli aspetti che caratterizzano la “sofferenza” della persona e che ogni persona non vuole sentirsi oggetto di mire espansionistiche dell’impero che coltiviamo dentro di noi.

Violenza in medicina è rifiutare di rivedere i nostri studi, arricchendoli di ottiche nuove ed approfondite, solo perché il lavoro che svolgiamo è già abbastanza remunerativo e non abbiamo bisogno di altro.

Violenza in medicina è soffocare la voce delle nostra coscienza quando sentiamo che ella non è soddisfatta di come ci siamo comportati.

Violenza in medicina è non essere pronti ad affrontare nuovi sacrifici, anche quando potremmo farlo, per capire meglio quali sono i limiti del nostro livello professionale conseguito.

Violenza in medicina è pensare che il medico “sia un lavoro come tutti gli altri”.

Violenza in medicina è pensare che il comportamento dei paramedici sia autonomo e che non debba invece e possa essere sempre di più stimolato e reso più accorto e nobile dal nostro esempio e dai nostri insegnamenti.

Violenza è dimenticare che anch’io ho visto fumare in corsia ospedaliera notissimi medici incapaci di chiedersi se fosse più importante la loro presunta preparazione professionale o la stessa incapacità di chiedersi che cosa stessero facendo.

Violenza in medicina è pensare che pensare sia sufficiente, dimenticando che non siamo fatti di solo pensiero.

Violenza in medicina è continuare a difendere le nostre opinioni quando abbiamo anche soltanto intuito che possiamo fare di meglio.

Violenza in medicina è nascondersi dietro la tolleranza, il rispetto ed il pacifismo, insomma dietro il vivi ed il lascia vivere, invece che comunicare con chiarezza al collega che lui potrebbe attivarsi per comprendere ciò che noi abbiamo compreso.

Violenza in medicina è smettere di ostentare un tipo di umiltà che non arreca alla natura itinerante e progressista dell’atto medico quella scintilla che ne determina continuamente un miglioramento.

Violenza in medicina è demandare al collega i problemi di un paziente solo per fatti legati ad orari, turni o competenze ufficiali.

Violenza in medicina è alimentare deliri di onnipotenza, spargere sensazionalismi sui potenti mezzi della medicina, determinando poi un senso di sconfitta più acuto quando la vita ripropone la propria fragilità ed i limiti che invece la caratterizzano. E’ violento poi fare tutto ciò tramite i mezzi di comunicazione che non possono controllare in tempo reale il tipo di riscontro ottenuto da parte di chi ascolta ed eventualmente correggere entusiasmi eccessivi e dannosi.

Violenza in medicina è pensare che basti solo una buona disposizione d’animo da parte del medico per venire incontro a tutte le esigenze diagnostiche del paziente, dimenticando che anche le sfumature della persona richiedono, per essere riconosciute ed utilizzate con finalità terapeutiche, una adeguata preparazione scientifica garantita dal percorso omeopatico di studio.

Violenza in medicina è fingere di non sapere, da parte del medico, che l’omotossicologia, il pluralismo ed il complessismo, non sono la stessa cosa che l’omeopatia nella sua purezza e che quindi non devono essere proposte come se fossero omeopatia a tutti gli effetti.

Violenza in omeopatia è essere omotossicologi quando si è compresa la differenza fra l’omotossicologia e l’omeopatia.

Violenza in medicina è promuovere la ricerca, la sperimentazione e l’immissione nel mercato di molecole che non riconoscono i reali bisogni delle persone ma che cortocircuitano soltanto i meccanismi sani della sofferenza che serve per promuovere l’evoluzione dell’individuo.

Violenza in medicina è praticare sperimentazioni su animali senza considerarne l’inutilità, la ferocia e la pericolosità per sé stessi e per gli utilizzatori dei risultati.

Violenza in medicina è ostentare sicurezza quando qualcuno ci sta parlando e sentiamo che le nostre sicurezze vacillano.

Violenza in medicina è ignorare che il cosiddetto effetto placebo potrebbe essere l’unica via per capire che cosa accade ad una persona nel corso di molte terapie.

Violenza in medicina è togliere la speranza a chi ce la chiede, magari perché abbiamo bisogno di proteggerci dal punto di vista medicolegale.

Violenza in medicina è essere pronti a denunciare il medico perché qualcosa non ha funzionato.

Violenza in medicina è ritenere l’atto medico un atto che non c’entra nulla con il dono: a caval donato non si guarda in bocca.

Violenza in medicina è perdere la speranza nella vita pretendendo di voler continuare a fare il medico.

Violenza in medicina è dimenticare che gli effetti dei farmaci non sono che effetti sulle malattie, mentre le persone non sono soltanto le proprie malattie.

Violenza in medicina è fare diagnosi e proporre teorie che non abbiano prima visto di chi erano le malattie.

Violenza in medicina è scambiare manifestazioni salvavita per manifestazioni di malattia e, per giunta, pretendere di farle sparire con un farmaco.

Violenza in medicina è scambiare gli effetti per cause e stravolgere i sentieri attraverso i quali è possibile riconoscere i meccanismi con cui la malattia si realizza.

Violenza in medicina è permettere che i mezzi di comunicazione propongano pubblicità banali e pericolose a base di farmaci che non informano ma viziano e deformano il senso della realtà.

Violenza in medicina è estorcere fondi per ricerche che non servono alla sofferenza ma alle carriere e agli interessi privati dei medici.

Violenza in medicina è la connivenza fra il medico e la farmindustria, ingannando gli utenti e traendone profitti personali di natura economica e sociale.

Violenza in medicina è la connivenza fra medici e farmacisti e fra questi e farmindustria, mentre ci si propone come un servizio sociale di pubblica utilità.

Violenza in medicina è continuare a dispensare prodotti nei quali non si crede, solo perché non si ha il coraggio di dire la verità.

Violenza in medicina è non essere vicini a chi impegna tutta la propria vita perché tutto ciò accada sempre meno.

Violenza in medicina è non sostenere è accusare ingiustamente i modi nuovi e profondi di fare medicina al servizio del miglioramento dell’umanità e tacciarli invece di antiscientificità e di cialtroneria, consentendo alle vere truffe a danno delle persone di continuare indisturbate.

Violenza in medicina è continuare a parlare di ricerche fantascientifiche per la lotta del cancro senza riconoscere la reale natura del cancro e la gravità delle perversioni biochimiche che i trattamenti medici arrecano continuamente.

Violenza in medicina è pensare di aver capito tutto quando non si è capito nulla.

Violenza in medicina è non parlare dell’importanza dei rapporti fra salute ed ambiente, sistemi di coltivazione, allestimento e conservazione dei cibi, continuando invece a bombardare le persone di farmaci nell’intento di attenuare disturbi derivanti dagli errori dell’umanità.

Violenza in medicina è ritenere che la formazione del medico non debba avere nulla a che fare con quella del sacerdote.

Violenza in medicina è credere che occuparsi della salute delle persone sia l’esercizio di un potere invece che un servizio amorevole da offrire agli altri.

Violenza in medicina è continuare a credere che la ricerca scientifica seria sia soltanto quella “di stato”.

Violenza in medicina è continuare a parlare di malattie infettive e non di meccanismi complessi che consentono le malattie infettive.

Violenza in medicina è proporre addirittura vaccini nuovi, quando ci sono gli elementi per diffidare di quelli già storicamente affermati.

Violenza in medicina è tenere nascosti i disastri da farmaci alle persone a fronte di informazione chiara ed inoppugnabile.

Violenza in medicina è consentire che siano in commercio prodotti sui quali è chiaramente scritto che non sono ancora chiari tutti i meccanismi d’azione, ma chiudere un occhio soltanto perché si tratta di farmaci promossi dal sistema sanitario.

Violenza in medicina è far credere che la chirurgia possa intervenire sulle persone come se fossero fatte di materiali inerti e non vivi.

Violenza in medicina è ostacolare la medicina omeopatica.

Violenza in medicina è mantenere l’ignoranza in medicina omeopatica da parte dei farmacisti che vendono i prodotti omeopatici e continuano a dispensarli nella maggior parte dei casi senza sapere che cosa stanno vendendo e perché e come.

Violenza in medicina è ritenere che gli studi filosofici non c’entrino nulla con la medicina.

Violenza in medicina è scambiare l’onestà del medico più evoluto per tracotanza e orgoglio,

e chiamare il suo impegno per la divulgazione della verità “pubblicità gratuita”.

Violenza in medicina è spendere cifre di danaro enormi per alimentare un sistema medico sbagliato e poi pretendere di sanare i bilanci dello stato imponendo tasse esose evitabili semplicemente aggiustando la sanità.

Violenza in medicina è alimentare meccanismi mafiosi che usano la salute delle persone come una miniera di ricchezza illecita.

Violenza in medicina è la chiusura delle autorità scientifiche al reale progresso della medicina in armonia con tutti gli ambiti della vita nel mondo.

Violenza in medicina è rimanere ostili al rinnovamento persino se non si è medici, soltanto perchè si è banali e non si ha il coraggio di comportamenti originali ed intelligenti.

Violenza in medicina è terrorizzare gli altri solo perché si è pieni zeppi di paure.

Violenza in medicina è continuare ad alimentare paure nevrotiche collettive soltanto per mantenere i consumi di farmaci. Più grave è che lo Stato non abbia le capacità di farsi realmente garante della tutela della sanità pubblica, asservendo il proprio potere a logiche di mercato che non hanno nulla a che fare con la salute.

Violenza in medicina è basare la sanità sulle bugie.

Violenza in medicina è strappare le tonsille ai bambini afferrandoli fra le ginocchia come se li si volesse uccidere.

Violenza è asportare organi soltanto perché si pensa che non siano necessari e dimenticare che ogni organo è figlio di un’unità psicofisica da comprendere nella sua totalità.

……riflettendo senza pregiudizi:

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