Tutto ciò che esiste

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Tutto ciò che esiste

Mentre si lavora, accade che, ad un tratto, capisci alcune cose che non riuscivi a comprendere da molto tempo.

E’ come se, all’improvviso, riesci a dare un suono, di parola, ad un’idea che ti inseguiva e non poteva prendere corpo, perché non eri pronto.

Mi piace l’atmosfera che la parola utopia genera attorno a sé. Il volto delle persone, quando la nomini, esce dalla normale e beffarda espressione, del tutto o nulla, di ogni giorno, e si delinea attraverso una strana sfumatura di impossibile, che appare come una traccia di aeroporto nella notte.

E’ così che si riesce a vedere delle cose, che si riesce a penetrare la nebbia, che ci si ritrova dall’altra parte, superato il varco della nostra verosimile opinione della realtà. Le logiche, allora, si dileguano, e lasciano uno  strano scenario affacciarsi ai nostri occhi.

E lungo  il movimento del sollevare lo sguardo, perché si è in alto, perché si può guardare da lontano, ed una luce nuova illumina le scene.

Mentre visito le persone, quando le incontro per strada, quando le incrocio in ogni angolo delle relazioni possibili, mi accorgo che, ormai, sarei un cretino se non mi dicessi chiaramente che il dolore di ogni singolo individuo,  davvero, non è solo il suo, cioè non nasce dentro di lui.

Non vi è tema che una persona racconti che non si nutra dell’atmosfera emozionale collettiva che  limita i movimenti di ogni essere umano, condizionato al sistema sociale così com’è.

Bisogna modificare i libri di psicologia e di psichiatria, perché, nello studio delle cause di disagio, non è contemplato il disastro che si affaccia alle coscienze più o meno lungimiranti, in quanto intuiscono dove stiamo andando.

Il discorso ricade ineluttabilmente sui ruoli di quelle persone che, pur avendo compreso la pericolosità sociale del loro lavoro, continuano a svolgerlo, soltanto perché frutta uno stipendio o dei profitti di qualunque genere.

Un grande danno globale, che rimescola percezioni e sogni di tutti e li intride di tristezza e paura del futuro. Tale è la base, su cui poggia il sentire comune, talché è impossibile la spensieratezza, senza una forma strana di stupidità che adombra il senso della vita stessa.

La speranza è tolta prima di conoscerne anche solo una vaga immagine, si gioca a distruggere il senso dell’avventura, perché le storie avventurose non esistono più. Perché non si riesce più ad essere convinti che l’eccezione è il male, e non il contrario.

Il sogno della felicità è legato a ragionamenti che non sono proponibili. Eppure, dopo tanti anni di riflessione, sono sicuro di poterlo dire. Questa diagnosi, almeno questa, è in grado di riequilibrare i sensori di autopercezione esistenziale. Bisogna uscire dal mondo dei soldi, bisogna recuperare la libertà dell’individuo dalla morsa finanziaria che ormai viene creduta dai più come essere ineluttabile.

Utopia: lo Stato crea i soldi, o qualcosa di simile, che serve per finanziare ogni opera e servizio necessari. I soldi sono a disposizione di tutti coloro che possono usarli per lavorare, creando il necessario. I soldi consentono il riconoscimento del lavoro effettuato, ma le spese che vengono fatte passare dalla revisione dei guadagni  ottenuti lavorando vengono rimpiazzati da interventi del governo che, finalmente la smette di tassare i singoli individui, facendoli sempre sentire sotto una macina da frantoio. Non vi è alcun bisogno di alimentare l’indotto pubblico, facendo finta che debba essere sostenuto dai sacrifici dei cittadini.

I cittadini generano benessere, con il proprio lavoro, e lo Stato deve pagare le tasse, per riconoscere il lavoro svolto dalle persone e consentire loro di sentirsi comproprietari del bene pubblico creato nell’assieme.

E’ una questione di ordine mentale: invece di dare qualcosa per poi richiederne una parte, con ferocia crescente, si offre il riconoscimento del lavoro, senza teatrini tragicomici, che ormai sono soltanto sempre più drammatici.

Piuttosto, smascherare la follia finanziaria che accentra le ricchezze nelle mani di pochi, per generare sudditanze insostenibili ed ingiuste, questo è l’urlo di battaglia che deve accomunare tutte le parti senzienti della gente, perché smetta di essere gente e diventi un panorama di persone coscienti e responsabili del loro agire.

La povertà del mondo è l’altra faccia della ricchezza di pochissime persone, che non si vogliono rendere coscienti, concretamente, del fatto che stanno gestendo, non i mezzi del mondo, ma la vita di ognuno di noi.

La situazione globale genera dubbi sull’utilità della comprensione, scoraggia  i discorsi alternativi, ottunde le soluzioni e gli slanci volti al cambiamento. Ma volete sapere che c’è di nuovo? Almeno la soddisfazione della diagnosi…..non può togliercela nessuno, almeno potremo dire di aver capito l’anomalia….e poi si vedrà la soluzione!

E’ già qualcosa, rispetto a coloro che non hanno nemmeno la vaga idea della verità, ma che ne subiscono le conseguenze tutti i giorni, e non lo sanno.

Niente……..almeno abbiamo capito!

1 COMMENTO

  1. Leggendo l’articolo cresce dentro di me una chiara corresponsabilità nel lavoro che svolgiamo che serve proprio ad alimentare un modo errato del vivere questa Vita che sicuramente non è quello che molti di noi avrebbero voluto vivere appunto.
    Cerchiamo di aumentare la Consapevolezza interiore di ognuno per favorire processi di crescita dei nostri ambienti sia essi lavorativi, familiari e dei rapporti di amicizie…
    Al solito Salvatore ci stupisce con i suoi scritti. un abbraccio fraterno

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