Il pendolo di Foucalt

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Il pendolo di Foucalt

 

L’esperienza che sto per raccontare è come una favola, di quelle storie che arrivano inaspettatamente nella tua vita e non devi fare altro che abbandonarti all’ascolto a alla percezione dell’interezza del senso che la narrazione ti regala.

Più di due mesi e mezzo fa, nei primi giorni di dicembre, il mio caro amico Rocco, come mi aveva preannunciato, mi ha regalato un vecchio orologio a pendolo, dei primi del novecento.

Mi aveva spiegato di esserne venuto in possesso e che avrebbe voluto metterlo a posto, ma la cosa era parsa complicata.

Siccome l’oggetto gli piaceva molto, pensò che fosse cosa indicata regalarmelo, perché, secondo lui, avrei saputo come comportarmi.

Non appena lo vidi, questo mobiletto di noce dell’Avellino, con una splendida venatura, di quelle che oggi è divenuto impossibile ritrovare in un mobile moderno, ebbi subito la chiara sensazione di trovarmi al cospetto di un vero e proprio capolavoro.

In questi casi, mi è facile sentirmi emozionato, profondamente, sia per il regalo ricevuto che per il sentiero impegnativo che mi toccava percorrere per poter capire quanto fosse possibile portare l’orologio in casa.

Il mobiletto, alto una settantina di centimetri, largo una quarantina e profondo una quindicina, era molto bello, ma completamente tarlato, quindi pericoloso da condurre in casa, per il rischio di contaminazione degli altri mobili da parte dei tarli.

Così, ho provveduto ad affidare l’orologio ad un restauratore, che provvedesse anche alla disinfestazione, in modo da poter liberare l’oggetto dal pericolo di essere distrutto dagli insetti ghiotti di legno.

Per condurre questa operazione, l’orologio è stato trattenuto per circa due mesi dall’artigiano, ma la fase molto lunga era la permanenza dello stesso in una camera ove con l’uso di sostanze gassose, fosse possibile chiudere i conti con gli animaletti infestatori.

Al termine di gennaio, ho ritirato il mobiletto dalla bottega antica del restauratore, con il quale mi sono fermato a chiacchierare con molto piacere.

Il mobiletto era stato rimesso in luce, come la sua pregiata qualità meritava. Era bellissimo!

Soltanto che, mentre lo trasportavo, si sentiva un rumore di ferraglia al suo interno, che mi preoccupava non poco, in relazione alle decisioni da prendere per ripristinare la parte meccanica, celata all’interno del comparto che la accoglieva.

Ero consapevole di avere tra le mani qualcosa con cui c’era poco da scherzare, sia per la complessità tecnica delle operazioni, che per l’importanza delle scelte da prendere.

Ancor più, ero interessato a ridare valore a quel gioiello, che la vita mi stava affidando, come un figlio da proteggere ed accudire, con tutti i crismi.

Anche perché il regalo di Rocco meritava di essere tenuto in massima considerazione.

Ho una notevole esperienza di meccanismi in genere, ed anche di certi orologi, che in passato, da ragazzo, avevo smontato in quantità, per capire come potessero essere fatti.

Però, non mi ero mai avventurato all’interno di un manufatto così.

Ne avevo una vaga idea di complessità, ma non potevo immaginare che cosa mi attendesse.

Come è mia abitudine, in questi casi, per molti giorni, non ho toccato l’orologio, dopo averlo posato su di una scrivania in casa, ove potevo osservarlo a lungo, in vari momenti.

Un giorno mentre ero accanto ad esso e lo guardavo, all’improvviso l’orologio iniziò a respirare, emettendo un delicato ticchettio, come un ritmo, però impreciso e incostante.

Rimasi un poco meravigliato di questa cosa, ma iniziai a comprendere che l’orologio voleva davvero tornare a vivere.

Per gli impegni, lasciai tutto e scappai.

Quando ritornai, l’orologio era silenzioso, e forse mi guardava.

Ho iniziato a studiare in Internet tutto quello che potesse riguardare l’argomento, ma comprendevo sempre di più che ero di fronte ad una realtà poliedrica, di cui non sapevo nulla.

Eppure, non ero sicuro di volerlo affidare ad un professionista qualificato, anche perché non avevo idea di dove potessi trovarne uno, e poi mi sembrava di perdere il controllo di un processo entusiasmante, che poteva essere rimettere a posto un pendolo del novecento.

Qualcosa, di vago e indistinto, mi invitava a mettere io personalmente le mani per la revisione di quello spettacolo.

Quando, grazie al numero di informazioni raccolte con lo studio, ho deciso di prendere l’orologio e portarlo nelle officine dei miei laboratori, l’ho posato su un tavolo ed ho iniziato a pensare alla strategia per poterlo avere sotto gli occhi nei suoi meccanismi, portandolo fuori dal suo alloggio nel mobiletto.

Ho iniziato a farmi strada dalle vie d’accesso consentite dallo stesso e pian piano ho potuto visionare la macchina dell’orologio, che, come ho constatato, era enormemente più sofisticata di tutte quelle che ero riuscito a trovare in internet.

Ero al cospetto di un vero cavallo di razza, un purosangue della meccanica tedesca dell’orologeria, con un livello di complessità fra i più arditi.

Ho osservato e studiato ripetutamente ogni più remoto dettaglio, accorgendomi che vi erano delle porzioni che erano andate distrutte forse dai trasporti, forse dal tempo, forse da qualche processo di ossidazione di cui la macchina sembrava aver patito.

Però, la totalità dell’orologio era lì e mi guardava, chiedendo sempre più insistentemente che vi mettessi mano.

Come fare? Da che cosa iniziare?

Ho atteso ancora molti giorni, mentre osservavo e studiavo ancora, soprattutto mentre, la sera, mi mettevo nel letto e posavo il capo sul cuscino.

A volte, mi sembrava di udire quel suono singolare che poteva apprezzarsi se muovevi l’orologio, ma era tutto così nuovo e visibilmente  caotico.

Come rimettere ordine in una storia di tale importanza?

Pian piano, ho iniziato a capire come potevano muoversi tutti i meccanismi che abbondavano in quel concentrato di esperienze di chissà quanti orologiai e di chissà quante generazioni.

Ho individuato i pezzi rotti, quelli deformati, ho pensato a come avrei fatto a sostituirli, ad aggiustarli.

Volevo ripristinare la perfezione originaria, ma appariva ai limiti dell’impossibile.

Il mio grande trucco è sempre quello di osservare molto a lungo, dormirci sopra varie notti, poi tornare ad osservare, finché non appaiono delle immagini proiettate davanti alla mia fronte, in cui posso vedere chiaramente che cosa devo fare, per poter procedere.

L’essere umano non ha altro che saper rallentare le azioni che potrebbero essere svolte con velocità, per poter consentire alla sua esperienza personale di immettersi nel tessuto della nuova esperienza che la vita gli sta offrendo.

Ho provato a sentire che suoni poteva emettere la suoneria del pendolo, ma era difficile riconoscere un motivo, perché i meccanismi erano in parte danneggiati.

Ho capito come ricostruirli. Alcune parti in ottone sono state da me rieditate in acciaio inox, insomma ho trovato il modo.

Ogni operazione era effettuata con una estrema lentezza, avevo terrore di sbagliare e di poter compromettere la situazione.

Tuttavia, ogni piccolo passo riparativo era un successo di cui mi complimentavo con me stesso, e andavo avanti.

L’aspetto più entusiasmante, quando guardi dentro una macchina del genere, è la scoperta della logica perfetta dell’autosostentamento dei movimenti.

Una sequenza di automatismi, che scivolano l’uno nell’altro e che richiedono calibrazioni da non poterci credere.

Si intuisce che i tecnici del settore sono arrivati lentamente, per passaggi da uno all’altro, attraverso esperienze e filosofie costruttive che si sono create come meccanismi evolutivi in natura.

Ma tutto quello che ho descritto, sebbene molto interessante, non sfiora, nemmeno lontanamente, il fascino globale di tale esperienza.

Mi spiego meglio.

Questo orologio era sicuramente stato nella casa ove una famiglia viveva, ove il tempo era stato scandito dai rintocchi della sua suoneria.

L’orologio era forse passato da genitori a figli e a nipoti, e così via, per più di un secolo, poi in disuso, non so per quanto tempo.

Infine è arrivato tra le mie mani, dalle quali avrebbe potuto finire non si sa dove.

Eppure, ho voluto ripararlo, avvicinandomi ad esso, con tale rispetto, da avere timore di toccarlo.

Sono riuscito a capire tutto quello che occorreva per poter intervenire senza arrecare danni, e riuscendo a ripristinare le logiche costruttive e di funzionamento atte a riportare questo prezioso orologio al suo splendore originale.

Ho udito il ticchettio sincrono, il pendolo che scandiva perfettamente il respiro dell’orologio, i suoni della musica bronzina delle stecche del gong.

La sensazione di aver dato nuovamente alloggio ad un fiorire di energie e ricordi, che attendevano questo momento, da tanto tempo, e che hanno coronato il loro sogno.

E’ una storia fatta di silenzi e di tanta tanta emozione, che ha cercato di ridare il senso a tanti piccoli aspetti contenuti  ancora in quel pendolo da aggiustare.

Gli insegnamenti sono tanti.

L’attenzione genera l’atmosfera per trasformare il silenzio dell’uomo nel ripristino di energie sopite, come quando accade nella storia delle persone, che ritrovano la strada smarrita per riuscire ad esprimere l’autenticità del proprio essere e compiere la missione per la quale sono nate.

E poi, l’oscillazione del pendolo, che lega il lavoro dell’orologio direttamente a fattori cosmici, come la forza di gravità e la risonanza delle meccaniche celesti.

Un orologio che racchiude nelle sue forme costruttive la capacità di vibrare in assonanza alle Leggi eterne della vita  e dell’Universo.

Quando ho informato l’amico Rocco del successo ottenuto col pendolo, egli mi ha scritto:”Il pendolo ha trovato le persone giuste”.

Grazie Rocco!

 

1 COMMENTO

  1. Bellissima storia, carica di emozione ed insegnamenti… Riportare in vita un oggetto dimenticato dopo decenni di fedele servizio! Bravissimo!😍

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