Giornalismo scientifico

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Pinocchio, il Gatto, la Volpe

ed il  giornalismo scientifico

 

Se lo scienziato è l’artista del sapere, il giornalista lo è dell’informare.

Scienza ed informazione sono spesso come marito e moglie che divorziano, si amano eppure si dividono.

Non è l’informazione che fa scienza e nemmeno la scienza che fa informazione.

Infatti la scienza è ben altra cosa che la trasmissione di  dati finalizzata a far conoscere qualcosa, così come per informare correttamente non è sufficiente essere un ottimo scienziato, dato che sarebbe necessario godere di altri doni che consentano non soltanto di cogliere il proprio sapere ma di essere anche in grado di trasmetterlo.

La cultura ha il dovere, contrariamente alla scienza, di essere chiara e diffusibile: il massimo limite che una scienza può concedersi è di essere poco chiara, purché molto precisa.

Di qualunque argomento si può misurare la precisione e la chiarezza, cioè esso può essere così tecnico e specialistico da essere comprensibile soltanto agli addetti ai lavori, ma assolutamente ermetico per gli altri.

Il bisogno di essere chiari generalmente sacrifica la precisione del discorso, agevolandone la comprensione in termini globali.

Tutte le volte che si rende necessario trasmettere o divulgare fatti di ordine scientifico, è necessario  dosare bene precisione e chiarezza, pena la mutilazione o lo stravolgimento della scienza se si preferisce troppo la chiarezza oppure l’incomprensibilità, se si resta troppo adesi al rigore metodologico e semantico della scienza.

A tutto ciò si aggiunga l’artefatto derivante dalla mediazione giornalistica del knowledge che di volta in volta si vuole far passare dalla cattedrale della scienza al pubblico degli oranti.

Il giornalista rischia sempre di giocare il ruolo del sacrestano di buona intenzione ma di pessime attitudini che vuole trasmettere le verità del Cielo lì dove il sacerdote maldestro già non ci riesca.

Il giornalista, il nome stesso lo dice, si dedica per professione al giorno e cioè all’evoluzione della storia attraverso scansioni quotidiane.

I giornali si chiamano anche quotidiani e la responsabilità enorme del giornalista è quella di scrivere con precisione senza congelare i fatti che sono per loro natura dinamici.

Gli articoli giornalistici e le trasmissioni radiotelevisive sono come fotografie, tentano di fermare ciò che riprendono, ma rischiano di fornire delle immagini bidimensionali prive di profondità e di vita.

Si aggiunga poi che difficilmente l’intento dell’informare può coincidere con quello del sapere.

Sapere è forse il termine più opinabile perché congela ciò che per natura può essere posto più facilmente in discussione.

Il sapere e la scienza sono forse la stessa cosa?

Non è forse la scienza  l’astrazione del sapere ed il sapere la zappa che fende il terreno nella sua potenzialità di vita?

Dinamismo e scienza, umiltà ed orgoglio, attenzione ed informazione… questi sono i termini che si  fondono, si elidono, oppure si contrappongono nel panorama del continuo sforzo dell’individuo di apprendere  e di insegnare, di tacere e di parlare.

L’uomo infatti può avere qualche difficoltà a decidere quando pronunciarsi e quando ascoltare ed ancora nel riflettere sui rapporti fra il momento di aprirsi nell’accogliere nuove informazioni e quello del chiudersi nell’informare.

Forse non vi è compito più ingrato che il dover trasmettere il contenuto del nostro pensiero, quando ogni momento della nostra esistenza potrebbe essere proficuo per imparare qualcosa di nuovo.

Il problema si complica poi nel momento in cui ciò che possiamo apprendere è talmente “nuovo” da poter invalidare gran parte di quello che avremmo potuto dire.

Come scegliere se tacere o parlare, se studiare o scrivere, se accogliere l’invito ad insegnare oppure indugiare ancora nell’apprendere?

La scienza non è immutabile ed è tanto poco concreta quanto invece possa esserlo il sapere, il sapere nella sua stratificazione di insegnamenti, di dottrine  e di modalità, dallo svolgimento di un equazione di terzo grado  alla tecnica di fresatura di un pezzo di massello di noce.

Il sapere può far scienza, ma non sempre la scienza riesce a diffondere sapere.

Quando Pinocchio si pose il problema di trasformarsi da burattino, quale Mastro Geppetto l’aveva fatto,  in un bambino in  carne ed ossa, non sapeva ancora che avrebbe incontrato il Gatto e la Volpe.

E quando Mastro Geppetto si preoccupò dell’istruzione di Pinocchio non sapeva ancora che i talenti d’oro non avrebbero potuto proteggerlo dall’arguzia “saputa” di quei due personaggi che con aria saggia e disinteressata avrebbero derubato il burattino e l’avrebbero lasciato alla mercé del fascinoso paese dei balocchi.

Pinocchio preferì giocare e non imparare a leggere e ciò fu determinante per tutte le sue delusioni e per tutte le sviste che lo condussero persino al rischio di essere bruciato da Mangiafuoco.

Anche la  favola insegna che vi è un momento per ascoltare ed uno per parlare.

La documentazione del giornalista scientifico è l’acquisizione degli elementi per imparare a non finire nel paese dei balocchi o nelle mani di Mangiafuoco.

Al naso lungo di Pinocchio corrispondono le lunghe code del Gatto e della Volpe.

Se la scienza è il dono della fata buona, il sapere può essere il tranello del Gatto e della Volpe, mentre l’informazione può persino condurre al paese dei balocchi.

Il grillo parlante è la coscienza…forse anche quella del giornalista quando finisce in un modo o nell’altro per raccontare qualcosa di sbagliato.

“Satira castigat ridendo mores” e dove non arriva la capacità di comprendere il pericolo dell’informazione sbagliata senz’altro arriva la morale di una favola internazionalmente nota come quella di Pinocchio.

Compito del giornalista è di scandagliare i fondali che sono nascosti dalle acque profonde e possibilmente anche di individuare ciò che si muove sotto la propria imbarcazione per evitare di arenarsi o per non entrare in collisione con altre realtà che non siano l’idea di un suolo calpestabile così come la barca  può fornire.

Vi sono mondi e mondi, scienze e scienze e vi è un sapere che insegna a raccogliere gli elementi per gestire il modo di entrare nelle scienze e di avvalersene.

Troppo arduo forse il compito del giornalista scientifico, quando la scienza da indagare e da presentare al pubblico si fa difficile o, peggio, strana e quando il giudizio sulla veridicità del nucleo attorno a cui l’informazione deve coagulare richiederebbe competenze che il giornalista non ha quasi mai.

Il travaglio che porta dall’orientamento di una scienza all’informazione su di essa passa attraverso l’inevitabile divario fra contenitore e contenuto quando il contenuto ha caratteristiche troppo particolari che possono trovare il contenitore impreparato  ad accoglierlo.

La transazione del sapere può irritare seriamente i canoni scientifici del sapere stesso e l’unico modo per ridurre tale rischio è di stare ben attenti a non accollarsi responsabilità che non possono essere sostenute non per inadeguatezza di hardware, ma per limiti di software che possono travisare o stravolgere completamente il già ingrato compito di presentare la realtà in un piatto di scienza.

Penso che molte volte l’abilità del giornalista starebbe maggiormente nel saper individuare le persone che possono presentare determinati argomenti magari in un colloquio col giornalista stesso, assumendosi l’incarico di porsi nei confronti di tali persone così come si porrebbero i lettori dell’articolo o i telespettatori e cercando di farsi latori delle domande che  la gente farebbe se volesse davvero capire.

La divulgazione, nell’intento di presentare al “volgo” in modo chiaro e semplice verità nascoste e difficili, rischia di sacrificare lo spirito dell’informazione richiesta dal pubblico più colto e soprattutto più disposto ad una conoscenza reale degli argomenti.

Dosare bene divulgazione ed informazione nel fare giornalismo scientifico rappresenta il vero onere professionale ed etico, il vero compromesso fra quotidianità dell’informazione e spessore storico e dottrinario della scienza sulla cresta del sapere o dell’ignoranza che gli strumenti di comunicazione e d’informazione dell’industria culturale, stampa, cinema, televisione e radio, mediano.

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