Bilancio
I parte
In questi giorni, un po’ come è accaduto altre volte, diverse persone, in poco tempo, mi hanno fornito lo stimolo esplicito od implicito di rappresentare chiaramente che cosa io significhi e che cosa io possa fare con i mezzi approntati finora nella mia vita.
E’ tempo di un bilancio. Un bilancio sulla mia vita, su quello che faccio, su ciò che ho già fatto, su tutto quello che posso fare.
E’ tempo di riconoscersi per ciò che è il senso della mia vita, di essere davvero pronti a morire senza aver vissuto invano.
Il dolore è la parte più preziosa del mio cammino ed ho avuto la fortuna di accorgermene.
Ringrazio tutte le persone che mi hanno fatto soffrire e mi dispiace per il duro lavoro che ciò ha comportato per loro.
Capisco che non potevano fare altrimenti e che forse era il loro modo migliore di volermi bene.
Capisco che non potevano fare diversamente e che questo è stato molto doloroso per loro prima di tutto.
Prego perché non sia stato inutile il loro sacrificio e perché, oltre ad avermi aiutato a staccarmi dai limiti terreni, essi abbiano già potuto o stiano per poter comprendere che cosa hanno fatto, in modo che possano riprendere la via della costruzione.
Le persone infatti sono costrette a fare anche del male per capire e crescere. Il nostro karma si intreccia con quello degli altri e la ricostruzione dei nessi e dei sensi è possibile soltanto con una visione distaccata da lontano. Allora si apprende la lezione e si può andare avanti.
Occorre prima di tutto conciliare la pena del rancore, del risentimento, verso coloro che hanno mancato verso di noi, per essere liberi di pensare ai propri progetti, quelli veri, quelli che servono a diminuire il dolore di chi incontriamo e soprattutto ad aiutarci a non arrecare dolore ad altre persone.
Proprio chi di noi ha avuto la fortuna di soffrire per mano di altre persone può esercitare la magica arte del perdono e della conversione del male ricevuto, in amore senza limiti per tutti.
Insomma ringrazio il dolore e chiedo scusa a chi ha dovuto procurarmelo perché mi rendo conto di quanto gli è costato.
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La parte più interessante di ciò che potrei chiamare il mio lavoro consiste in tutto quello che ho potuto conoscere di apparentemente lontano da esso.
Molti fanno un lavoro o sono dediti ad occupazioni che non significano nulla per loro, ma non lo dicono in giro…lo ammettono soltanto in alcuni momenti (per esempio nel corso di una visita omeopatica).
Questa situazione appesantisce la vita e crea un divario fra la progettualità e l’espressione attuale della vita stessa, annichilendo i meccanismi di crescita ed ovattando la relazione fra la nostra autenticità e la possibilità effettiva di plasmare l’ambiente in modo originale ed utile.
La fortuna della mia vita è stata quella di unire, senza perdere nulla, tutte le esperienze che direttamente o indirettamente ho vissuto, aprendo una rete sempre più vasta e articolata di dimensioni fluidamente intersecate fra di esse.
Un’esperienza libera e liberante che non ha incastrato la navicella mai da nessuna parte….una navigazione senza secche.
Conoscere senza conoscere, sapere senza sapere, credere senza credere.
Fatto sta che mi trovo nelle condizioni di poter insegnare, ma non voglio farlo, voglio solo dare il mio insegnamento a chi me lo chiede.
Ho provato nella mia vita il bisogno continuo ed incessante di imparare, come un figlio con il padre, ho cercato, ho viaggiato, mi sono sforzato, sono stato umile ed ho ascoltato. Poi, lentamente ho capito che stava arrivando il momento di non imparare più nulla, di fermarmi su ciò che avevo imparato, di rifletterci sopra senza fretta, di fermare il tempo.
L’ho fatto ed ho dimenticato tutto, poi ho ascoltato le voci dentro di me ed ho seguito le ombre, mi sono perso, ho sperato ancora di poter rimanere ancorato a qualcosa. Ho sofferto ancora un poco, perché ancora non capivo, poi ho lasciato tutto e mi sono gettato in volo dalla montagna.
Ho avuto paura, ma sapevo che era giusto ciò che stavo facendo.
Oggi volo alto, e non serve scendere, non serve parlare, non serve imparare. E’ la vita stessa l’insegnamento ed il mio morire continuo la mia rinascita al mio essere altro, la mia alterità, che mi appartiene senza possedermi.
Quando visito i miei colleghi, i medici, mi rendo conto che manca loro un’integrazione originale ed appagante del loro lavoro con la vita in generale e che, in fondo, il loro modo di lavorare è diventato l’ostacolo principale ad una nuova crescita.
Non dico questo con un senso di superiorità, al contrario con un senso di gratitudine alla vita stessa, alla provvidenza, in cui ho imparato a credere da quando ero bambino ed in cui è ancora bello e utile credere.
Vorrei poter regalare a tutti l’esperienza meravigliosa che la vita mi permette di vivere se solo capisco il senso del dolore.
E’ senz’altro lo studio e la pratica dell’omeopatia che mi hanno favorito nella conoscenza dei percorsi che invece un modo di fare medicina diverso non consente nemmeno di immaginare.
Ho capito che il modo migliore di fare il medico deve comprendere una serie di modalità espressive che non appartengono alla medicina come la si intende comunemente specie nell’atmosfera occidentale.
Occorre che io parli con i miei pazienti e con tutti coloro che intendono ascoltarmi e che racconti che cosa ho capito non solo delle malattie ma soprattutto della vita, di ciò che mi è accaduto, del modo in cui l’ho vissuto ed in cui l’ho superato vivendolo con un coraggio nuovo.
Occorre che parli molto della salute e di come preservarla, che mi trattenga con loro periodicamente per evitare che si ammalino e che in certo qual senso mi senta responsabile di fornire loro delle indicazioni chiare.
Occorre che io spieghi che cosa è significato per me diventare ed essere ciò che in questo momento sto attraversando, per permettere a tutti di capire quanto coraggio serve per cambiare il mondo.
Occorre che le persone capiscano quanto è importante farsi carico di responsabilità sociali che permettono ad un medico di rinnovarsi per venire incontro alle reali necessità dei pazienti.
Tutto ciò è frutto di un’abilissima miscelazione di aspetti cognitivi ed animici che coinvolgono tutti i piani e tutti i momenti di formazione del medico e tutte le occasioni che egli ha avuto per mettere in gioco tutto di sé stesso, soprattutto le proprie sicurezze.
E’ difficile spiegare, ma è facile trasmettere.
Consapevolezza della propria ignoranza, individuazione dei sentieri esplicativi, tecnica dell’acquisizione del nuovo, sistemi si comprovazione della sua validità, dinamiche estrattive dei piani di realtà, sintesi utile dell’innovazione con il già noto, filosofie propositive e ricerca della fortuna delle proprie possibilità di investimento esistenziale, personale, etico, professionale ed escatologico.
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L’attività medica che svolgo, con il tempo, diventa sempre più complessa e presenta la necessità di adeguamenti continui.
Da quando esercito l’omeopatia e cioè da circa un decennio, ho dovuto dedicare al momento delle visite un’attenzione più particolare di prima, un’atmosfera che somiglia a quella del confessore con il suo fedele.
Nessuna interruzione è ammissibile, se non per casi gravissimi di emergenza. Diversamente si rischia di perdere il filo del discorso, di distrarre il paziente che cerca di esprimere il nucleo profondo sul quale il medico omeopata dovrà prescrivere il rimedio che corrisponde di più alla situazione diagnostica (il simillimum).
Il livello di una visita omeopatica è tanto più elevato quanto più il medico è in grado di far esprimere il paziente con estrema profondità, chiarezza, intensità e spontaneità e riesce ad avere la concentrazione per riconoscere la congruenza dell’atmosfera che gli si presenta rispetto al profilo di un rimedio che gli corrisponda.
Ciò significa che il medico, mentre lavora, ha bisogno di avere minimo una persona che lo faccia stare tranquillo di poter lavorare e sicuro che nel frattempo lo studio non resti isolato dal mondo e continui ad interfacciarsi con tutti i clienti per offrire una continuità assistenziale.
Con l’attività allopatica, non avevo bisogno di assistenza di tal genere, perché una visita di medicina classica può essere interrotta senza penalizzarne la qualità diagnostica.
Un dato interessante è che la maggior parte dei colleghi omeopati si fa interrompere facilmente oppure inattiva il telefono durante le visite. Nel primo caso vi sarebbe anche da riflettere sulla qualità della visita stessa.
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I livelli di prestazione che il medico omeopata può offrire sono diversi:
– prima visita, in cui egli incontra per la prima volta il paziente e deve fare massima attenzione per comprendere e riconoscere tutta la vita del paziente, i dati di inquadramento allopatico, ma con estrema attenzione tutti i dati che occorrono per l’eventuale prescrizione omeopatica.
Questa visita è molto più lunga e difficoltosa di una normale visita medica, anche se questa dovesse essere una visita di alto livello specialistico, e richiede una quantità di tempo che difficilmente è inferiore ad un’ora e spesso invece può richiedere anche l’annullamento delle visite successive.
L’onorario corrispondente a questo momento professionale non è stato fino a questo momento da me adeguato al tempo impiegato per la visita, al livello di difficoltà della stessa, al tipo di responsabilità assunta nel farsi carico della gestione della situazione del paziente, all’eventualità addirittura di perdere l’onorario della visita successiva a causa del prolungamento della visita in corso. Questo onorario dovrebbe essere corrispondente al reale carico di lavoro che la visita comporta. Però, di questi argomenti pratici non dovrebbe occuparsi il medico.
Vi sono visite che sono capaci di estenuare anche un medico esperto e ben addestrato, visite dopo le quali il medico potrebbe non avere la forza di farne altre e invece deve continuare i suoi incontri come se nulla fosse.
Piuttosto l’onorario viene ridotto per vari motivi talvolta necessari ad influenzare positivamente la prognosi di casi disperati e di drammatico spessore umano oppure completamente omesso e mai fatto corrispondere al reale valore dell’incontro col medico che, nel mio caso specifico, offre al paziente, in un colpo solo, una prestazione di elevatissimo livello professionale, data la lunghezza e la complessità dell’iter formativo e professionale che posso garantire (Medico Chirurgo – Specialista in Allergologia ed Immunologia clinica – Specialista in Medicina Interna – Diplomato in Medicina Omeopatica Unicista Hahnemanniana, per un totale di 20 anni di studi accademici, oltre ai numerosi anni di esperienza lavorativa fino ad oggi ed al prosieguo incessante di studi e ricerche personali sempre più complessi ed articolati).
Tutto ciò offre al cliente una visita importante che quasi sempre consente anche di non dover effettuare diversi altri tipi di visita e quindi di sostenere ulteriori costi.
– Seconda visita ed eventuali visite successive: si tratta dei momenti che permettono al medico di riscontare l’andamento della situazione rispetto alla prima consultazione e tendono all’individuazione di tutti gli elementi che servono per confermare la prescrizione oppure modificarla come può essere necessario di volta in volta.
Si tratta di momenti generalmente, ma non sempre, meno impegnativi della prima visita. Non si dimentichi comunque che ogni visita è un’assunzione di responsabilità notevole da parte del medico, specie nei casi più delicati, anche perché è richiesta una integrazione in tempo reale e su vari piani di tutte le competenze che sono chiamato ad esprimere perché mi sono riconosciute per Legge.
E’ il caso di ricordare che, secondo il codice deontologico medico, all’aumentare delle competenze del medico, aumenta l’eventuale responsabilità in caso di errore.
Con molta verosimiglianza, nel corso delle mie visite, penso di esprimere una valutazione davvero molto complessa ed approfondita, ciò che mi è concesso dai miei titoli accademici e professionali.
Per raggiungere e mantenere uno standard di qualità così elevato, ho dovuto e continuo a dover affrontare molte spese di studio ed aggiornamento con viaggi, soggiorni, iscrizioni a corsi e congressi in tutto il mondo, per non parlare degli enormi costi per diventare omeopata.
Mi sono accorto che il motivo fondamentale che scoraggia tutti i medici, che conosco e che hanno molta stima di me, nell’intraprendere un iter che li conduca in una posizione simile alla mia è soprattutto la paura di affrontare gli studi e le spese, i sacrifici e le rinunce legati a tale tipo di scelta.
Non biasimo la scelta dei colleghi, anzi la non scelta, ma ho bisogno di sentirmi riconosciuto nell’originalità e nel valore del mio cammino, soprattutto perché di questo ne beneficiano tutte le persone che da me si rivolgono e che usufruiscono della mia professionalità.
Ho il piacere di godere di grande fiducia e della stima e dell’affetto della maggior parte dei miei pazienti. Sono sempre a disposizione di tutti ed in ogni momento del giorno e della notte, compresi i prefestivi e i festivi.
Non ho una guardia medica che mi alleggerisca la vita, al momento non sono sostituibile!
Mi dispiace dover dire che, nella frequentazione dei numerosi colleghi anche omeopati, ho potuto notare che la loro disponibilità è davvero molto ridotta rispetto alla mia.
In molti casi, non sono reperibili il sabato, la domenica, i giorni di festa, quando non sono nello studio, non forniscono tutte le possibilità di essere rintracciati, per esempio non danno ai loro clienti il numero telefonico di casa o il proprio cellulare personale.
Tutto ciò è pressoché la regola comune e serve a decomprimere i ritmi di lavoro dei medici, ma mi chiedo se questo è possibile, a quale costo, se è etico, se si può fare in modo diverso e a quale differente tipo di costo.
Penso che la sostituibilità del medico allopata sia un punto sul quale non si possa che essere d’accordo. Cioè, se un paziente ha un problema e non riesce a trovare il suo medico di fiducia, potrà chiamarne un altro, potrà rivolgersi alla guardia medica oppure consultare facilmente uno dei vari servizi di medicina del nostro sistema sanitario nazionale.
Per quanto riguarda il medico omeopata, sarebbe già difficile la sua sostituibilità con altre figure dello stesso genere, a causa delle differenze anche severe nel modo di lavorare dei vari omeopati, ma poi, in medicina omeopatica è davvero importante che il medico conosca bene i suoi assistiti e possa garantire una continuità assistenziale in tutti i sensi, compresa anche quella ai vissuti evolutivi delle persone, che non si basi cioè solo sulla valutazione dei comuni dati clinici del momento.
Un aspetto importante che non posso non sottolineare del mio modo di lavorare consiste nel seguire la vita delle persone che ripongono fiducia in me nel modo in cui si fa con dei cari amici che non si perde mai di vista.
La visita non finisce mai con il termine della stessa e, spesso, in una telefonata si mette mano a vissuti così importanti che la prescrizione telefonica del rimedio è più importante di quella effettuata nel corso di una visita vera a propria fatta di persona.
Un monitoraggio continuo, una memoria attivissima che interviene in ogni momento, anche quello più intimo della propria vita (la mia vita!).
Il medico omeopata non può spegnere il cellulare, mentre i suoi pazienti non sanno che cosa fare e magari sono costretti a rivolgersi in guardia medica e a prendere uno o più farmaci della cui supremazia non sono convinti perché hanno una cultura ed una sensibilità che si muove su piani differenti da quelli del sistema. Purtroppo però essi non sono medici, tanto meno omeopati.
Molte volte, sia per me che per i miei colleghi più insigni, non è possibile rendersi reperibili sempre.
L’utenza dei pazienti, i medici in veste di pazienti ed i loro familiari, possono richiedere una continuità assistenziale di questo tipo? Hanno diritto anche loro, come tutti i cittadini, ad una versione di medicina ormai ufficiale e riconosciuta a tutti gli effetti (anche se ogni momento, sul più bello, avversata ormai anche nel modo più sciocco e ridicolo)?
Possono essi richiedere anche la valutazione in ambiente ospedaliero, senza per questo dover rinunciare al proprio stile di vita fra cui la scelta di curarsi alla luce di conoscenze mediche anche di tipo omeopatico? Mi chiedo perché no.
Non voglio sopravvalutarmi, ma di fatto io sento il dovere di cercare di garantire sempre la mia reperibilità.
I miei pazienti riconoscono, salvo rare eccezioni, il mio sforzo, che comunque mi da una grande pace interiore e mi fa sentire a posto con la mia coscienza.
La maggior parte delle mie giornate è costellata di decine e decine di telefonate che arrivano in ogni momento …ed io rispondo. Anche se è difficile. A volte i presenti che assistono mi dicono che, secondo loro, sono troppo disponibile, mi chiedono chi me la fa fare, sembrano indurmi a spendermi meno, quando addirittura non mi invitano a spegnere il telefono.
Mentre sono seduto a tavola, devo chiedere di che colore è il catarro del paziente che mi telefona, oppure che odore hanno le feci e che caratteristiche ha il sangue mestruale.
Una volta una persona mi ha detto che se prendessi anche solo un euro per ogni telefonata ricevuta, diventerei ricco!
Nel corso di queste telefonate, mi vengono presentate migliaia di quadri di indisposizione temporanea che possono quasi sempre essere gestiti telefonicamente e non richiedono quasi mai una valutazione diretta. In alcune occasioni di consultazione che vengono da pazienti che vivono lontano da me, quando occorre, attivo una valutazione medica obiettiva da parte di un collega del posto, anche non omeopata, cui poi fa seguito la mia prescrizione quasi sempre omeopatica.
E’ curioso riflettere sul fatto che, nella stragrande maggioranza dei casi, la visita dei colleghi si conclude con prescrizione di vari farmaci per vari giorni e che puntualmente, che ché ne possa dire qualcuno, le mie prescrizioni omeopatiche risolvono rapidamente e senza reliquati la patologia e soprattutto evitando la somministrazione dei farmaci! Tutto ciò per certi versi è impressionante, quanto vero, ma è senz’altro sensazionale.
Un dato molto bello ma inquietante può a questo punto essere rivelato: i pazienti che mi seguono da qualche tempo escono completamente dal comune rischio statistico di ammalarsi di cancro. Il cancro è assente nella mia casistica, tranne che per due casi che si erano sottoposti a moltissime immunoterapie prima di passare all’omeopatia, come se il motivo della frequenza statistica di cancro nella popolazione normale possa essere legato all’uso facile dei farmaci.
Infatti, l’unica differenza fra il campione normale e quello dei pazienti omeopatici sta nel modo di curarsi.
Un farmacista ha detto ad un amico:”A te non voglio dare Aulin, perché ormai si sa che è cancerogeno”!
Viene da chiedersi cosa avrebbe fatto il farmacista se il paziente non gli fosse stato amico.
Ma continuiamo con le telefonate/visita.
I quadri di emergenza vengono diretti al pronto soccorso e sono costretti a privarsi della presenza del medico omeopata, poiché il sistema sanitario nazionale non eroga ancora in modo uniforme prestazioni mediche che tengano conto anche di un inquadramento omeopatico, che comunque è sempre più un diritto di tutti.
Il medico omeopata riesce a gestire, con i sintomi presentati spontaneamente e con una serie di domande che si effettuano nel corso della telefonata, la situazione clinica del momento e a prescrivere in pratica quasi sempre il rimedio del caso e a risolvere la patologia, ma non può rischiare in quei pochi casi che non è possibile inquadrare telefonicamente.
Così come non si può rischiare in quei casi che meritano un regime ospedaliero per la necessità di eventuali indagini ed accertamenti.
L’ideale è che questi pazienti trovino in ospedale anche il medico omeopata capace di decidere se è giusto curare con l’omeopatia oppure con l’allopatia.
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Alcune note di politica sanitaria ed economica.
E’ il caso di dire che, quasi sempre, l’iter di un paziente che si rivolge da me per una prima visita si svolge attraverso una serie limitata di incontri che lasciano spazio progressivamente ad un livello di salute alto e che tale si mantiene nel tempo (tutto ciò è riconosciuto dalla totalità dei pazienti). Con il passare del tempo, queste persone si legano a me e gestiscono quasi ogni loro bisogno sanitario tramite il mio aiuto.
Ovviamente, il bisogno di ricorrere a nuove visite presso il mio ambulatorio diviene generalmente poco frequente, tanto è che molti di loro sono soltanto sentiti per telefono quando hanno bisogno e difficilmente vengono visitati allo studio, perché, superata un’indisposizione temporanea, tornano rapidamente a stare bene e quindi non avvertono il bisogno della visita vera e propria.
Questo è molto bello, ma bisognerebbe chiedersi da dove proviene: si tratta di un livello di salute alto e a basso costo. Possibile?
Succede facilmente che interi nuclei familiari vengano seguiti negli anni in questo modo e che, pur essendo iscritti nelle liste dei loro medici delle ASL, in pratica non li consultino mai e non utilizzino le loro figure professionali che continuano però a percepire un compenso statale per il solo fatto di averli ufficialmente iscritti a sé come pazienti.
Ci sono perciò dei soldi che vengono corrisposti a medici che non sono chiamati a fare il loro lavoro e che restano solo formalmente attivi perché il SSN prescrive l’obbligo di avere un libretto sanitario, con allegato medico di base, per ogni eventualità che dovesse presentarsi (ricoveri, indagini convenzionate, etc.). D’altra parte c’è un lavoro continuo del medico omeopata che effettivamente è il fiduciario degli utenti, ma che non percepisce compenso per la stragrande maggioranza delle sue prestazioni professionali della sua giornata di lavoro, pur sottoponendosi a sacrifici davvero enormi per essere coerente nel garantire la già ben nota continuità assistenziale, sapendo che per il momento non può essere sostituito.
C’è da aggiungere che il livello di salute di un paziente che si cura omeopaticamente si rinforza sempre di più ogni volta che egli si cura senza assumere farmaci, bensì un rimedio omeopatico (per avere conferma di ciò, bisogna chiedere ai diretti interessati).
Quindi il medico omeopata contribuisce, senza nessun compenso per le sue prestazioni, sia pubblico che privato, ad innalzare la salute delle persone, a ridurre in questo modo il bisogno di visite mediche nel suo studio, lavorando così sempre di più e guadagnando contemporaneamente sempre di meno.
Tutto questo è un grande favore che il medico offre ai suoi pazienti, ma soprattutto al sistema sanitario che, infingardo, continua ad ignorare e a spendere cifre enormi per ottenere risultati che non hanno niente a che fare con quelli della medicina omeopatica. Su queste espressioni sono fornibili dati resi ufficiali dalla testimonianza plurima degli utilizzatori.
I costi dell’omeopatia sono irrisori e nel frattempo questo dato è volutamente ignorato come se si volesse a tutti i costi spendere di più per ottenere di meno. Chi si cura da molti anni con la medicina omeopatica non ha nessuna difficoltà a fornire le prove di ciò. Il numero di queste persone ha una rilevante importanza sociale e politica.
In più, dato lo scollamento del suo modo di fare rispetto al sistema dominante, il medico elargisce guarigioni dalla mattina alla sera ed anche di notte, in una gloria pubblicamente oscura e riconosciuta soltanto dai suoi pazienti, mentre si accolla continuamente responsabilità che vengono rese potenzialmente più pesanti da eventuali controversie che possono sollevarsi nel suo lavoro, per il solo fatto che il sistema sociale, per come è messo, è pronto a puntare il dito contro l’omeopatia e dimentica che il medico omeopata è prima di tutto un medico e che quindi non ha una marcia in meno bensì una marcia in più.
Il Governo, nel riconoscere la legalità dell’omeopatia, non attiva in tempo utile tutte le misure per garantire gli stessi diritti a questa medicina che invece sono garantiti se il medico non conosce anche la medicina omeopatica. Si realizza così una sperequazione non degna di un contesto civile e contraria a qualunque principio che riconosca eguali diritti a tutti, pazienti e medici, specie in un auspicato regime meritocratico.
Quindi viene agevolato di più chi ha studiato di meno!
Con la presente relazione, si capisce che non solo si invita a riflettere su di una situazione che investe piani di ordine sociale allargato, ma si intende anche e, direi con una certa sollecitudine, focalizzare una situazione di difficoltà personale che il sottoscritto avverte in modo particolare.
Tale situazione mi pone in un contesto di disagio crescente nel continuare ad erogare le mie prestazioni professionali con la stessa garanzia che ho sempre offerto.
I pazienti a carico aumentano, le visite in cui posso guadagnare non aumentano per limiti temporali e di serietà professionale, le consultazioni telefoniche ormai sfiorano cifre da brivido per ogni motivo tranne che per i compensi che invece mancano proprio per questo lavoro che è la parte più importante delle mia vita.
E’ evidente che qualcosa non funziona nel modo in cui si stanno mettendo le cose e che perciò, da bravo omeopata, cioè professionista di ampio discernimento, sono chiamato a modificare le dinamiche del mio lavoro.
Purtroppo non è stato ancora possibile avere l’omeopatia a tutto spessore nelle strutture pubbliche. E poi bisognerebbe vedere se il contesto pubblico consentirebbe i tempi e le modalità che la vera omeopatia di qualità richiede.
E’ come paragonare un’opera artigianale di pregio ad una tiratura ampia e massiva della produzione in serie. L’omeopatia non può essere di serie!
Mi auspico di poter avere al più presto un incarico, pubblico o privato a servizio del pubblico, che mi consenta di esprimermi nella struttura pubblica secondo gli schemi più avanzati che accomunano i miei intenti alle richieste delle persone più evolute che hanno il diritto di esercitare liberamente le proprie scelte.
Tutto ciò appare comunque difficile, soprattutto in tempi brevi e, soprattutto non dipendente da me.
Nel frattempo si lavora duramente, in mezzo a mille difficoltà, compresa quella di dover condurre le mie ricerche scientifiche da solo, senza aiuti né di persone né di mezzi.
E’ mio intento allora fare una proposta sanitaria al gruppo di persone che mi seguono e mi conoscono bene e poi di proporre anche ai nuovi pazienti la stessa modalità per poter continuare a garantire a tutti la mia disponibilità senza che io debba poi trovarmi in difficoltà.
Scendano le persone in campo e chiedano al sistema politico-sociale che cosa vogliono.
Tra l’altro, è da tempo che, conversando con vari clienti, si pone la richiesta di sentirmi parlare in incontri di vario genere. Vi è la richiesta di usufruire della mia professionalità non solo nel corso di una visita medica episodica, ma soprattutto lungo un cammino itinerante che sviluppi delle tappe di cultura, informazione, prevenzione, etc. …direi di gestione della salute e della felicità.
Da “la crisi” di Coline Serreau
Sapete come funziona le medicina in Cina? Quattro volte all’anno tutta la famiglia va dal medico…e lui li cura…vale a dire cerca nelle persone in buona salute i punti deboli che potrebbero poi diventare delle malattie. Gli fa un poco di agopuntura, gli da delle erbe, corregge la dieta, riequilibra l’organismo…poi lo pagano e se ne vanno. Per loro questa è la medicina. Impedire che uno si ammali. Invece se qualcuno si ammala, allora è il medico che va da lui per curarlo…e per quella visita non viene pagato. Perché non è medicina per loro. Per loro curare la malattia quando c’è già è come mettersi a fabbricare armi subito dopo aver dichiarato guerra. Oppure scavare un pozzo quando si ha sete. Bisognava pensarci prima. Perciò al medico cinese conviene che la gente stia bene. Perché sono quelli che stanno bene che pagano. Gli ammalati gli portano via tempo senza farlo guadagnare e se ha troppi ammalati, il medico va in rovina. E poi la gente dice: ha troppi ammalati, non è bravo. Non ci andiamo. Qui è il contrario: più uno ha ammalati e più viene rispettato. E più guadagna!
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Se avessimo stili di vita perfetti, non ci ammaleremmo. Durante le visite, spessissimo sono portato a parlare di come si mantiene la salute, ma una visita, un momento con una sola persona, non è l’ideale per dare spiegazioni di questo genere. Il momento è di fronte a molte persone.
Ecco perché ho pensato a degli appuntamenti semestrali di informazione e cultura al servizio della salute, di scambio di esperienze e proposte fra i pazienti ed il loro medico, cui si potrà partecipare con modico gettone di presenza. Questi momenti sono i veri momenti di igiene, cioè dell’arte del preservare la salute. I partecipanti avranno la possibilità di fare le domande che riterranno opportune e le risposte fornite saranno a disposizione di tutti.
Sarà anche possibile documentare gli incontri e farne dei momenti da divulgare a tutti gli interessati anche non presenti.
Vi è un’altra esigenza che le persone a me vicine esprimono ripetutamente: quella di condividere dei momenti di vita con me.
La richiesta è gradita e possibile, e risponde alla bella dinamica che si crea fra il medico ed i suoi amici. Sarebbe bello poter estendere opportunità di tale genere a molte persone oltre a quelle che, particolarmente vicine a me, hanno normalmente la possibilità di trascorrere dei lieti momenti assieme a me.
Nell’intento di poter realizzare ciò, propongo dei momenti basati sul “fare”, argomento a me molto caro.
E’ infatti di fondamentale importanza realizzare qualcosa che comporti un impegno manuale ed evochi la nostra creatività.
Da sempre nella mia vita ho avuto un laboratorio artigianale che diventa sempre più attrezzato e versatile, in cui per esempio è possibile lavorare il legno e gustare tutta la poesia, ma anche l’utilità, di questa attività.
Oggi ho il PIRTSI (Polo Inventivo per la Ricerca Tecnologica e lo Sviluppo Innovativo), sede di abile e delicata miscelazione fra noto e non ancora noto, fra esistente e possibile!
La mia vita è basata sulla realizzazione di mille attività che non potrebbero mancare, lavorare in laboratorio, fare escursioni e praticare attività sportiva di vario genere, cercare siti di acqua naturale e riconoscere luoghi di particolare energia dove fermarsi per meditare e riflettere.
Aprire questi momenti alla partecipazione di piccoli gruppi di persone interessate avrebbe un significato umano, sociale, medico e preventivo non indifferente.
Nel dare la mia disponibilità piena a tutto ciò, mi piacerebbe affidare l’organizzazione dei gruppi a chi di Voi prenda l’iniziativa di volta in volta con le finalità che possono interessare.
Il numero di partecipanti consigliato è massimo di 7 persone per volta e minimo 3, oltre a me.
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Oggigiorno gli utilizzatori dell’omeopatia di qualità sanno che non è possibile non esprimersi con chiarezza nei confronti di una scelta fra l’omeopatia e l’allopatia. Questo non significa settarismi rigidi e pericolosi che sostengano comportamenti scelti a priori senza il vaglio della ragione nelle varie situazioni che possono presentarsi.
Però chi ha capito l’omeopatia ed è abituato a curarsi da tempo in questo modo sa molto bene che il mondo degli analgesici, degli antinfiammatori, degli antibiotici, degli psicofarmaci, viene ridimensionato considerevolmente e, a ragion veduta, se si ricorre all’omeopatia.
Non è giusto quindi che queste persone ed i medici ai quali esse si rivolgono debbano subire una ghettizzazione culturale e logistica soltanto perché sono in grado di muoversi su piani relativamente liberi dal mercato della farmindustria dominante e delle suggestioni che questa ha creato nel mondo della medicina e nel modo di praticarla.
* Il medico che ha optato responsabilmente per una pratica omeopatica è investito da una serie di problemi che per certi versi lo penalizzano rispetto ai suoi colleghi non omeopati e rispetto anche alla sua situazione professionale allopatica prima che diventasse omeopata.
Eppure un medico omeopata ha studiato di più, si è perfezionato, esprime performance più sofisticate oltre a quelle che potrebbe realizzare se non fosse omeopata.
Dal punto di vista pratico, un medico omeopata ha bisogno, per lavorare bene, di più tempo e quindi non riesce ad effettuare il numero di visite che potrebbe fare se fosse soltanto allopata. Le visite omeopatiche sono più lunghe e laboriose, delicate, complesse.
Il medico che diventa omeopata si sottopone ad un carico di lavoro maggiore di prima e facilmente guadagna di meno anche se opera su di un piano più sofisticato, anche se sarebbe giusto che guadagnasse di più.
Si rischia di porre anche in pericolo il diritto legittimo, per il medico, di rendere, con il tempo, l’esperienza professionale ed il successo, la propria posizione professionale e la vita sociale più solide e soddisfacenti e di consentirgli di continuare a crescere effettuando tutti gli interventi di aggiornamento e studio che occorrono se si vuole continuare a dare il meglio.
Eppure il medico omeopata non rifugge dai rischi della propria posizione perché sa che sta facendo la cosa giusta. E lo sanno tutti i pazienti che ormai da tempo lo seguono.
Sembra che questo privilegio dell’intelletto, che poi si riversa sul corpo, debba essere pagato prima di tutto dal medico, ma anche dai pazienti che, pur accedendo ad un livello di medicina più elevato, possono risentire anche parecchio della privazione della loro libertà di scelta che si configurerebbe nel momento in cui dovessero necessitare di un ricovero o di una prestazione d’emergenza in struttura ospedaliera.
Vergognose poi le sperequazioni processuali, medico legali, avvocatizie etc. su argomenti così sottili e evoluti come il motivo dell’omeopatia!
* La prescrizione allopatica basata spesso sull’eliminazione del sintomo si presenta molto più facile di quella omeopatica basata sull’individuazione di una totalità biopatografica individuale. Il lavoro omeopatico è laborioso già di per sé, figuriamoci se poi il medico in questione fonde competenze allopatiche complesse a quelle omeopatiche per le quali è consultato.
D’altronde la competenza medica generale ed eventualmente polispecialistica offre maggiori garanzie alla valenza omeopatica della visita (probabilmente si tratta del mio caso).
* Il medico omeopata ha sempre un riscontro professionale così importante da non poter essere trascurato come indicatore di un livello sociale di sensibilità, cultura ed esigenze degne di essere considerate dalla classe politica ed amministrativa.
In attesa che il panorama locale consenta di godere dell’attenzione di queste forze, è bene dare energia e non fiaccare la mia attività al servizio delle persone.
Mi auguro pertanto che nell’intento comune di non penalizzare le componenti sane che ci interessano, facciamo spazio a tutte le proposte possibili nell’intento di alimentare e favorire sempre più un modo nuovo di fare medicina.
Occorre una prova di presenza da parte delle persone che godono del mio lavoro, così come di tutti gli altri professionisti impegnati come me, affinché il costo che il medico omeopata deve già sopportare non diventi indegno e comprometta alla fine la disponibilità della stessa omeopatia di qualità altrimenti non possibile.
Dove non arriva il sistema, è bene che arriviamo noi con una nostra personale organizzazione.
Difficile commentare un articolo cosi esteso e complesso . Non è una banale semplificazione : SONO PIENAMENTE D’ACCORDO SU TUTTO !
Per ciò che riguarda la parte ( pratica) relativa al rapporto prestazione/compenso ho una semplice proposta che non risolve le questioni leggittimamente evidenziate nell’articolo ma che si lega coerentemente al principio di co-responsabilità medico-paziente : ogni paziente dovrebbe dare un “libero” contributo annuale così come indebitamente fa lo stato ( noi ) con i medici generici ciò allo scopo di contribuire da una parte all’assistenza continua offerta e dall’altra anche a sostenere gli sforzi di Aggiorbamento e Ricerca sostenuti dal medico.
ma c’è da combattere i nemici : l’ignoranza ( il non sapere) e l’incoscienza ( non essere consapevole del Valore della prestazione professionale ricevuta) .
Enzo