L’inganno della pochezza
Meno male che le stelle sono molte di più di quelle del movimento cinque stelle e di quelle del calcio
(consiglio di leggere con il sottofondo musicale https://www.youtube.com/watch?v=McBnpz3LjvU )
Un disagio sempre più crescente si pone per chi è colto, ma specialmente per chi continua a volerlo essere.
Cultura deriva dal latino “colere” – coltivare.
Chi ha cultura coltiva, da sempre e per sempre, l’attitudine all’approccio complesso alla realtà, ove persino la semplicità può essere considerata nella sua complessità.
Il cammino delle culture è totipotente, come le cellule embrionali, può dirigersi verso qualunque direzione e interessare qualunque campo.
Ciò è possibile se vi è la libertà di interessarsi di qualunque cosa e in qualunque modo.
Mi viene in mente quel tipo di artista, che con allenamenti di rarissima portata, riesce a realizzare numeri spettacolari, in cui il suo corpo può muoversi straordinariamente, con dinamiche ed equilibri, ma anche con performance di forza senza pari.
Anni ed anni di allenamenti, lenti, progressivi, pazzeschi, indicibili, ma i cui risultati finali sono strabilianti e portano l’essere umano a traguardi stupefacenti.
E’ il bello della rarità, dell’eccellenza.
Raro significa che non si trova facilmente. Eccellente significa che non si può fare di meglio.
Sono qualità talmente strane da non essere più alla portata di tutti.
Non lo sono mai state, ma negli ultimi tempi lo sono sempre meno.
E’ un poco come l’estinzione di forme di vita che lasciano il Pianeta, per le condizioni sempre meno atte a consentire che resti l’antico, il particolare, lo straordinario, il delicato.
Per ogni aspetto è così, anche per i saperi, le abilità, le capacità di studiare, osservare e descrivere gli aspetti della realtà.
La vita sta perdendo le sfumature, e sta diventando un cliché, lo stereotipo della pochezza e della banalità.
Ogni aspetto prezioso, profondo, complesso sta andando in pasto ad una macchina che sbriciola i pezzi e li riduce tutti alle stesse dimensioni e forme.
I sentieri del sapere sono inestricabili trame, che attingono ad aspetti talvolta così singolari, da non poter dire di più, di fronte alla grandezza degli effetti.
E’ come la sciarpa di Jak del Nepal, che comprai ad un mercato etnico, diversi anni fa: non ci sono parole per dire che cosa si prova quando la si mette sul collo.
Come si fa a spiegare che cosa corre attraverso ogni aspetto impalpabile, quando le parole non ancora esistono, oppure non esistono più, quando non vi è dottrina che possa spiegare, ma solo il silenzio può dare la risposta e aprire la via per la comprensione?
Culture, saperi, scienze.
Queste ultime hanno l’ardire di insterilire la finezza del sentire nella ragione della ripetizione possibile.
Così si perde tutto un mondo, che appartiene ai motivi profondi per cui è anche possibile fare scienza.
Le più grandi scoperte sono serendipiche, cioè si realizzano quando si sta cercando altro.
Chi può spiegarlo agli scienziati di fare silenzio quando qualcosa non si capisce bene?
Carl Gustav Jung esplorò le vie metafisiche, ai limiti del sogno, per estrapolare i paradigmi della comprensione, condusse l’uomo a toccare l’impalpabile mistero della stessa intelligenza.
Rudolf Steiner viaggiò nell’atmosfera esoterica dei miti, alla base della crisi stessa della vita.
Carl Popper condusse la verità al cospetto del suo antipodo.
Infiniti pensieri e innumerevoli viaggi psichici, e animici, hanno dischiuso il magma della mutevolezza del sapere, dell’umiltà della percezione, dell’assoluto discernimento globale delle origini stesse della comprensione.
I colti, e forse io posso ambire ad esserlo, soffrono per le striminziterie, alle quali si sentono costretti ad assistere, come quando i delinquenti ti prendono un Tuo caro e lo seviziano davanti ai tuoi occhi, dopo averti legato alla sedia.
Tale è la vita normale di tutti i giorni, la cultura scolastica normale, la scienza ufficiale normale, la politica normale, l’ascolto dei piccolissimi personaggi normali, che si avvicendano sull’uscio della mia coscienza infinita, persa nell’Universo.
Resta il grande asso nella manica, il ritorno al tutto, la quiete infinita degli orizzonti astrali, l’esclusione del tempo reale per la conquista dell’eternità, fluida e gonfia di spumeggianti scintille e gorghi, in cui confondersi una volta e mai più.
I percorsi del sapere, una volta, erano vie misteriose, e senza argini, nel centro del cuore della vita e dell’intero creato.
Quando l’aria profumava di sapere, la banalità andava via.
Oggi, quando incalza il sapere, che, ormai, chiamano scienza, la banalità, piatta e noiosa, impéra, e si impadronisce della bellezza e del senso stesso della scoperta.