Il Parlamento e la fattoria dello zio Tom
I modelli etologici animali sono un buon banco di osservazione per comprendere anche i comportamenti del genere umano. Forse, una minore complessità filogenetica rende evidenti i meccanismi che nell’uomo risultano più intricati.
Un fascino particolare suscita lo psittacismo, cioè la ripetizione automatica da parte di pappagalli, ma non solo, di frasi di senso compiuto degli umani. Comunque è certo che gli animali, quando parlano come l’uomo, non sono coscienti di ciò che stanno dicendo e non lo dicono per ottenere degli effetti come invece accade nel linguaggio umano. Perché lo fanno?, Che cosa significa? A quale livello vi è la discontinuità tra fonema e vissuto corrispondente?
Forse anche l’uomo fa la stessa cosa nei confronti di altri animali, quando li imita senza sapere che cosa sta facendo. Eppure, che si tratti di suoni oppure di altro, vi è una parte identica che non media nessun’altra significazione corrispondente.
E se accadesse la stessa cosa anche fra gli esseri umani, quando uno di loro parla e gli altri hanno la sensazione di capire qualcosa che in effetti non esiste da nessuna parte? Dove è il senso, se può esistere, di un costrutto verbale che viene lanciato nell’aria alle più libere letture sia di tipo percettivo che di tipo integrativo cioè interpretativo?
Si pensi che difficilmente una persona domina il linguaggio, nel senso che egli conosce un ristretto numero di parole che utilizza quasi sempre e che dipendono da tanti fattori che hanno caratterizzato la sua vita. Ognuno di noi, per giunta, usa solo un suo personale numero di espressioni e non ha necessariamente una sufficiente familiarità con l’analogo gruppo di possibilità di altre persone diverse da lui.
Eppure abbiamo la sensazione di parlare tra di noi. Siamo sicuri che davvero comunichiamo? Si pensi ai giochi di parole che talvolta fanno spettacolo senza dire nient’altro di nulla. Diversamente si pensi a quanti discorsi profondi risultano incomprensibili per il solo difetto dell’ascolto.
Si parla spesso dell’importanza della comunicazione preverbale, ma forse è ancora più importante un altro tipo di comunicazione che chiamerei empatica. Probabilmente è la forma di relazione più antica, profonda e veritiera, fatta di sguardi, di tonalità, di ritmi. Essa supera di gran lunga il concetto di preverbalità ed affonda le radici nelle sfumature dell’anima, quelle che ci fanno gradire insieme le situazioni o ci pongono in contrapposizione rispetto ad esse.
I motivi dell’empatia sono talmente sottili e antichi da non poter essere spiegati con mezzi che non sono utilizzati nel viverli: i linguaggi.
Sinuoso il maschio di un pesce si avvicina all’esemplare femmina e, senza che vi sia nemmeno più di un attimo per pensarci, qualcosa avvicina i due oppure li allontana di colpo. Attrazione e repulsione al cospetto della sola volontà di guardarsi. Sensazioni stratificate di sudori e di fremiti che annichiliscono la coscienza e risvegliano gli istinti più selvaggi. Non si sa se il pensiero sta a guardare oppure è osservato e tenuto a bada dalle più arcaiche espressioni reattive che ricordano l’idea dei movimenti ameboidi di inclusione o di rifiuto. Una grande ameba figurata che sostituisce ogni elaborazione educata del ribrezzo o della brama incoercibile.
Un livello di animalità che opera continuamente in noi e che ci ostiniamo a non voler riconoscere anche se soltanto per le sue implicazioni più indirette. Così nascono le schizofrenie, le depressioni, l’ansia, l’angoscia, la logica o la passione più smodata, insomma il nulla attraverso il tutto ed il tutto attraverso il nulla. Come composti chimici facili, automatici, naturali e difficili da scindere nei loro atomi di base, oppure come molecole impossibili da trovare in natura e possibili eccezionalmente con l’impiego di un’energia altissima ed assolutamente innaturale. Una specie di affinità elettiva dettata da corrispondenze basate su memorie antichissime e nient’altro che incoscienti, quanto inoppugnabili e sin troppo sciupate da qualunque tentativo di conoscenza, compreso il mio volgarissimo sproloquio dialettico di queste righe. Volgare è lo sforzo, elegante e spontaneo è il libero fluire del nostro essere attraverso l’attesa paziente e silenziosa della comprensione del senso profondo della nostra vita.
Non sapremo mai se il senso della vita sarà il nostro o viceversa! Sappiamo che possiamo cambiare idea mille volte e non sapere ancora dove siamo e dove vogliamo andare. Il fiore dell’Arnica non sa di essere ciò che è, ma è l’archetipo del dolore da ammaccatura lenito dal vento sugli altopiani.
Che cosa voglio dire? Meglio fare un cenno a che cosa non voglio dire, ma se non voglio dirlo, meglio non dirlo.
Chi mi legge abitualmente sa che la forma migliore per avvicinarsi a me è quella senza alcuna confezionata certezza, ma ciò non vuol dire inaffidabilità. Al contrario si tratta di una flessibilità tale da poter capire tutti quando soltanto essi scelgono di “parlare”.
Proporrei nelle scuole alcune lezioni di silenzio che sarebbero difficilissime, perché tutti, dopo pochi secondi si sentirebbero autorizzati a rompere il silenzio in virtù di un’esigenza indicata. Pensiamo al contrario se le persone si sentissero autorizzate a non parlare, dico autorizzate, perché si sentirebbero oggetto di un privilegio.
Insomma, è più leggera l’anima o la parola? Vale di più esprimersi o cercare di consentirlo a tutti ordinatamente? La democrazia è una realtà possibile oppure è l’inganno più obsoleto che non rispecchia minimamente la verità?
Se, per “democrazia” intendiamo la pluralità possibile, dobbiamo fare i conti con il concetto di “democrazie” che sottintendono una pluralità di pluralità cioè la dittatura.
Non voglio scendere in discorsi politici, ma soltanto voglio dimostrare che è possibile parlare in un modo tale da solleticare la coscienza a rivedere anche il significato che essa attribuisce a sé stessa.
Tutto ciò è applicabile come dottrina di base per leggere i comportamenti dei nostri politici ad esempio in questo periodo postelettorale. Vediamo.
Alcuni agnelli chinano il capo sotto il proprio pelo candido ed arruffato, mentre il tacchino pettoruto e tracotante si protende in avanti con fare despotico, la volpe con la sua coda lunga e rossa sfila furbetta ed accontenta tutti, gli uccellini cantano, il barbagianni, cupo, borbotta che la situazione è “ingovernabile”.
Un branco di pecore infinito si stende fin oltre l’orizzonte e dà man forte alle ombre dei fantasmi degli sciacalli, così che il lupo di turno possa comprare la loro libertà per venderla alla faina che entra nel pollaio e rompe tutte le uova. Che scenario! Un parlamento oppure l’allegra fattoria dello zio Tom?
Alcuni altoparlanti sbraitano di concetti tipo maturità di un popolo, alleanze ed opposizioni, alludendo ad una preparazione tecnica per fare politica che di tecnico ha soltanto un vuoto umano e di capacità che ricorda soltanto un animale di razza indescrivibile e che mi scuso di non saper davvero citare.
Come sarebbe bello se finalmente si parlasse di capacità tecniche in termini di doti morali ed umane, capacità di riconoscere i propri limiti opportunamente miscelate ad una sana volontà di interazione mite e costruttiva.
Quanto all’economia, non possiamo non spendere due parole, ma solo due perché altrimenti risulteremmo in debito, magari debito pubblico, perché soltanto pubblica può essere la colpa della disonestà di alcuni che hanno spinto la “loro” democrazia a livelli tali da generare la voglia di non vivere più proprio negli imprenditori più onesti e laboriosi.
Tecnico si contrappone ad intellettuale, ma si dimentica che il bene più prezioso di un tecnico è proprio il suo intelletto e che l’intellettuale è un gran tecnico dell’etica e della coscienza, che sono le uniche doti necessarie per governare.
Caro Salvatore, seguo da qualche tempo il tuo sito, con i tuoi articoli e le conferenze. Da collega, allopatico, sto iniziando a conoscere e studiare il mondo della omeopatia. In particolare, dell’ultimo articolo ho tratto spunto di profonda riflessione significati profondi e misteriosi del linguaggio preverbale e dell’empatia, dei meccanismi alla base per l’insorgenza di numerose e molteplici patologie psico-patologiche,,,,se penso alle quantità industriali di psicofarmaci che ho prescritto ai miei poveri pazienti….pur non essendo psicologo o psichiatra penso che un diverso approccio dovro’ nel fututo tenere nel confronto dei miei assistiti…..Ti ringrazio per avermi aperto le porte di una prateria a me prima sconosciuta…..
Caro Aldo,
rispondo di rado ai commenti, ma la dolcezza e la spontaneità con cui mi hai scritto meritano un’altrettanto vivida risposta.
Quando un collega capisce, e mi fornisce un riscontro, è una festa del cuore e dell’intelletto. La mia visione del medico vorrebbe vederci tutti uniti in un cammino di crescita e rinnovamento continui per il benessere dei nostri pazienti.
Sento che in Te vi è una grande onestà ed il coraggio di voler crescere. Complimenti e….sempre a disposizione!
Salvatore