Impegno straordinario (allenamento alla fluidità di pensiero per renderne possibile la sua utilità)

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Impegno straordinario (allenamento alla fluidità di pensiero per renderne possibile la sua utilità)

La parola “straordinario” si riferisce ad un ambito che esula dalla ordinarietà delle normali situazioni. La definizione che ho appena fornito contiene ulteriori specifiche che sono: “riferirsi” – “ambito” – “ordinario” – “normale” – “situazione”. Forse, per pura combinazione, l’elencazione di tali specifiche, che dovrebbero supportare una dimensione capace di tenersi su, come una struttura architettonica, bilanciata e perfetta nella sua autonomia, si articola, come possiamo vedere, sul numero cinque.

Il numero cinque, composto da due più tre, comprende, dunque, un elemento che non si tiene in piedi, se non è vivo, il due, ed un elemento che si tiene in piedi, pur non essendo animato, il tre.

Infatti, se consideriamo il due fornito di due gambe e il tre fornito di tre gambe, il discorso si applica alla perfezione.

Implicitamente, si immagina la struttura globale come un poligono con cinque punte, con intercalati cinque segmenti, tali da definire un ambito, interno, circoscritto, in modo da essere, a tutti gli effetti, un pentagono.

Osservando il pentagono, senza iniziare da uno dei punti in particolare, si attiva una circolarità, che invita  a scegliere, arbitrariamente, l’inizio in uno qualunque dei cinque punti che rappresentano i vertici, quindi, l’ordine che tiene il poligono stesso.

Tuttavia, nonostante l’analogia che potrebbe intravedersi con una circonferenza, che inscrive un cerchio, dobbiamo considerare che l’apparente simmetria di rotazione, attorno ad un punto centrale, che guarda, allo stesso modo, attorno a sé, è soltanto una vaga similitudine, in quanto il cerchio è articolato attorno alla funzione tempo, mentre il pentagono si articola attorno alla funzione geometrica, che scatta da un fronte di osservazione all’altro.

In tal senso, un ipotetico osservatore, che guardi dall’interno, può considerare il tempo entro il quale scorra il cerchio, oppure la sequenza di vertici che configurano un orientamento del poligono nello spazio.

Insomma, il tempo e lo spazio, sono le due funzioni “istintive” che, a seconda del caso, disciplinano la regola con cui viene considerata una eventuale libertà di stile di studio della dinamicità della funzione.

Riferirsi            Situazione              Ambito              Normale                Ordinario

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Ogni punto può guardare gli altri, ma, chiaramente, soltanto due per volta in modo distinto, quelli di fronte, e gli altri due laterali, con la visione periferica, indistinta. Su tale meccanismo, si basa l’impossibilità di una visione stereoscopica, multidimensionale, che dia l’interezza, senza considerare, poi, che il punto dell’osservatore, il vertice scelto, come prospettiva, implica una visuale che sembrerebbe astrarre il punto di osservazione, ma ciò penalizza  il senso stesso della pentagonalità, che apparirebbe diversa, se vista dall’esterno.

Non basta: in quanto se poniamo in movimento il pentagono contenuto nello spessore di un piano e scegliamo di variare l’altezza dello stesso, avremo dei tronchi pentagonali, così come, se poniamo liberamente in rotazione, lungo tutti gli assi, il pentagono, in modo che i suoi vertici descrivano tutti i punti di una sfera cava che lo contiene, abbiamo ogni possibile prospettiva, sia rispetto all’interno che da parte di un osservatore esterno.

Poi, occorre considerare che la successione delle immagini del movimento che stiamo considerando, a seconda della velocità, quindi della frequenza, consentirebbe di vedere scenari anche diversissimi fra loro. Chi conosce l’effetto stroboscopico, capirà anche che sarà possibile vedere varie immagini, a seconda della frequenza della luce con cui si illuminerà la sequenza delle immagini stesse.

Questa disamina di possibilità serve solo per far comprendere che l’osservazione, lungi dalla sua scontatezza, dipende da un numero di fattori talmente vasto, da essere, in pratica, assolutamente non unificabile.

Facciamo solo alcuni esempi, per semplicità, rimanendo solo su di un piano e scegliendo un vertice alla volta, dal quale guardare gli altri.

“Ordinario” guarda “situazione” e “riferirsi”, ma vede indistintamente “normale” e “ambito”.

“Normale” vede “riferirsi” ed “ambito”, ma vede indistintamente “situazione” e “ordinario”.

La nitidezza della visione dei due vertici di fronte è maggiore se si resta immobili e si perde la chiarezza dei due punti laterali. E’ facile immaginare quale sia la parzialità delle considerazioni, oltre alla prospettiva, già difettiva in partenza.

Non oso, adesso, parlare della ordinarietà, poiché dovremmo vederla da un’altra struttura articolata, dalla quale dovremmo anche tarare l’osservazione, pur rimanendo profondamente influenzati da mille fattori, capaci di creare anche suggestioni tutt’altro che univoche.

Le attività ordinarie delineano il proprio mondo operativo e percettivo, ma non possono essere oggetto di immaginazione da chi si attesta da una visuale differente, per quanto correlata possa essere, ma senza coscienza dei nessi di intercalazione.

Il problema delle priorità da scegliere per osservare è profondamente immerso nello spessore delle abitudini e degli automatismi, da cui derivano le posizioni e i settarismi, sino alla pur frequente opposizione.

Le posizioni per governare i processi della realtà arroccano le persone su fronti che, facilmente, si contrappongono, mentre occorrerebbe che i responsabili delle varie nicchie dimensionali, fossero pronti ad un rendering tridimensionale, tale da consentire una visione disinteressata, ma illuminata solo da un processo dinamico, che non snaturi mai la persona e il suo sviluppo, in una prospettiva globale di valorizzazione sia degli individui che del sistema collettivo che li rappresenta.

L’impegno ordinario non può competere con quello straordinario, perché non potrebbe immaginare i suoi motivi e le sue prospettive. Eppure, l’impegno straordinario è indispensabile per rinnovare una modellizzazione di meccanismi sociali, tesi a soddisfare l’esigenza di una intera umanità, che si riconosca nei bisogni di ognuno.

L’impegno ordinario e quello straordinario guardano l’ovvio e il possibile come se fossero dimensioni dislocate in mondi lontani, eppure si tratta delle stesse entità, viste solo da tempi e prospettive differenti.

Gli standard di qualità della vita passano da un continuo scorrere dell’ordinario nello straordinario, dallo scontato alla visione problematica, che attraverso punti morti intermedi, le abitudini, scivola nel futuro che torna a non soddisfare, quando nuovamente ci si abitua al presente che esso diviene, di volta in volta.

Sono le persone che possono cambiare e decidere se appartenere al passato oppure al futuro, senza che vi sia un contenitore di comportamenti scontati, come un totem gigantesco, cui le genti debbano riferirsi per ogni frangente spaziotemporale dell’umanità.

Muoversi nel tempo, con l’immaginazione, con il cuore, con il coraggio di mettersi in discussione, senza tralasciare nessuna occasione di revisione, anche assoluta del proprio iter evolutivo.

I motivi hanno le loro ragioni e le ragioni hanno i loro motivi.  Se, per esempio, cambiamo i codici di osservazione, potremmo non considerare normali le immagini di straccioni che dormono la notte in prossimità delle stazioni ferroviarie. Potremo sentirci chiamati, anche personalmente  ad intervenire perché queste persone abbiano un livello di qualità della vita più dignitoso. Ancora una volta, impegno ordinario ed impegno straordinario, al cospetto dei motivi profondi, per cui ci troviamo in quel luogo ed in quel momento.

Così accade per le situazioni storiche, per le leggi, per i comportamenti, ma soprattutto per l’ovvietà delle cose, con cui finiamo per giustificare anche le situazioni più abnormi della vita.

E’ un viaggio, quello della nostra evoluzione personale, con cui riusciamo a modificare i punti di vista, ma esso corrisponde ad un mondo possibile all’interno di ognuno di noi, resosi possibile solo se riusciamo a non sentirci mai assolutamente certi dello status quo.

Per pensare in modo straordinario, occorre smettere di sforzarsi di pensare, per riprendere ad avere la libertà di pensare, per aprire il gate di una dimensione conoscitiva “altra”, che possa traghettarci sull’altra prospettiva possibile.

L’impegno straordinario appartiene all’evoluzione dell’uomo, giacché non accadrà mai che  l’ordinarietà delle cose renda ragione al genio evolutivo, unico depositario della scintilla migliorativa.

Le chiavi dell’evoluzione sono nell’astrazione, in quel saper guardare nel vuoto, che conduce alla ricerca di una messa a fuoco originale e avanzata.

La storia ha già insegnato che la scontatezza dell’ordinario non appaga la coscienza evolutiva dell’essere umano, nell’ avventura del suo attraversamento dell’universo.

Il senso della scoperta si alimenta dell’attitudine ad un impegno straordinario, come quando, per aver accettato di “uscire di casa”, si scopre una bella circostanza, che ci consente di crescere.

L’ovvio nasconde anche l’atrocità, l’ingiustizia, la prevaricazione, mentre si ammanta di normalità e di una forma di omologazione che non corrisponde agli aneliti profondi dell’uomo.

La stessa storia, quella presentata nei libri di “scuola”, è spesso ovvia, e presenta solo alcune logiche che non rispondono allo spettro globale dei racconti sull’uomo. Come quando si presentano alcune vicende solo per quello che il potere centrale ha voluto che noi conoscessimo.

Lo stesso accade per la scienza, per la storia di alcuni brevetti, per lo spazio che il sistema sociale ha riservato ad alcune invenzioni. Come per esempio, quando hanno fermato Tesla, mentre immaginava il futuro del mondo, in un mondo pieno di ovvietà e di arcaicismo.

Il mistero dell’evoluzione umana è sempre assortito di una parte  di intelligenza  e di una parte di stupidità, nonché di una buona parte di cattiveria.

La protezione necessaria per l’individuo, rinchiuso nel suo tornaconto personale, è sempre pericolosa per l’evoluzione dell’intera comunità, nella misura in cui non corrispondono i codici dell’ordinario con quelli della straordinarietà. Per esempio, i discorsi dell’economia, sembrano avere capacità di astrazione, ma sono incapaci di aprirsi verso dimensioni evolutive che catapultino l’uomo nel mondo del proprio valore effettivo. Manca l’astrazione nell’astrazione, si ricade in una noiosa abitudine agli schemi che sono responsabili delle condizioni estreme ora presenti sulla Terra.

L’uomo resta segregato a sé stesso, mentre potrebbe organizzare attorno a sé lo stesso livello di confidenza che trova nella propria interiorità, proiettata in un’idea istintiva di famiglia, capace di accoglierlo in ogni luogo del mondo.

Da un testo che contiene la narrativa naturale dell’uomo, si sono distaccati troppi allegati, capaci anche di capovolgerne il favorevole corso storico.

Gli ostacoli alla felicità sono sempre, per definizione, inutili, e inutilizzabili per l’utilità della vita stessa.

La scomodità dell’impegno straordinario riguarda, per l’appunto, la prospettiva aperta su un nuovo panorama possibile di felicità, dimensionata per accogliere ogni forma di vita ed ogni interesse “personale”.

Dulcis in fundo: il denaro, surrogato del valore dell’uomo, finisce per occultare i sentieri che conducono all’uomo stesso, rallentandone, paradossalmente, la possibilità di realizzazione e di prosperità. Essere straordinari richiama al concetto di abbandonare il vecchio stile di ricchezza ordinaria.

2 COMMENTI

  1. Nel continuum spazio-temporale della storia degli avvenimenti, una piccola parte di umanità ha sempre avuto la possibilità di decidere le sorti della rimanente maggior parte altra del globo.

    Ciò in virtù di aggregazioni, di leve che attengono alla disponibilità decisionale di vivere il brivido adrenalico del “comandare”, molto differente dal “guidare”.

    Tutto, al solo fine, di creare una massa inerme e non dotata di propria identità, incapace di esercitare né il libero arbitrio, né tutte le capacità che il cervello, la mente, lo spirito sarebbero in grado di esprimere, se ci fosse una elevata auto consapevolezza cognitiva e spirituale.

    “Senza schemi”: sarebbe bellissimo e auspicabile, avere la possibilità di superare i vecchi schemi, là dove sia necessario.

    Ciò, però, richiede impegno, prima ordinario, nell’osservare, analizzare gli schemi propinati, poi stra-ordinario, per effettuare la sintesi di un modus personale(di vita, di impegno, di creatività, di pulsazione vitale) per dare vita propria alla propria vita, in aderenza a codici intimi spirituali e di benessere, che non attengono a mode massificate, né messaggi martellanti né a nessun’altra tecnica visibile o invisibile di condizionamento delle menti.

    Condivido, concordo con questa nuova scintilla creatrice di nuovi spazi vitali, con questa nuova attitudine della mente alla concezione positiva della vita, con questa peculiarità dello spirito a riappropriarsi della semplicità dei gesti e della dimensione “umana, viva” e non “robotica” del vivere.

  2. Dovremmo imparare un pò tutti ad impegnarci nei comportamenti, in modo straordinario… non possiamo permetterci di rimandare quello che occorre fare con modi Ordinari… il bene comune attende segnali importanti da coloro che hanno preso consapevolezza interiore…

    Un caro saluto a tutti gli esseri Straordinari…….

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