ACHEROPITO

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Acheropito

Acheropito è una parola inconsueta, rara, che si potrebbe anche non incontrare mai nella vita intera di una persona.
Eppure, essa esiste; deriva dal greco e significa che un qualcosa non è di fattura umana.
Perché io oggi ho deciso di usarla?
Ho nella mente dei discorsi, intricati, difficili da rendere, ma avverto che è giunto il momento di parlarne.
Forse, per sintetizzare, sarebbe il caso di spiegare subito che vorrei parlare di intelligenza artificiale.
Oggi, si parla di intelligenza artificiale, sempre più spesso, tanto che, non vi è più un giorno in cui, almeno una volta, questa espressione spunta fuori in numerosi contesti.
Mi chiedo quale sia l’aspetto emotivo che caratterizza questo suono.
La parola intelligenza, penso, affascina un po’ tutti, da sempre.
Far seguire “intelligenza” da “artificiale” fa specie, genera un senso quasi di meraviglia, ma, in fine, attrae ancor più, come se volesse dischiudere ambiti, giochi, competenze, sorprese di grande livello.
Di che cosa si tratta?
E’ una parola rispondere!
Vi sono ormai corsi, percorsi di formazione, consulenze e iter applicativi in ogni ambito della vita, si parla di indispensabilità di tale nuovo paradigma.
Ho provato a porre alcune domande ai sistemi di intelligenza artificiale, ma ho ricevuto risposte che hanno generato in me la sensazione di trovarmi di fronte ad una forma di stupidità e ristrettezza che non vorrei potesse caratterizzare mai la mia forma di intelligenza.
Come la mettiamo?
Sono io il problema, oppure il problema è nel sistema creato?
L’indicizzazione delle note chiave della banca dati inserita nel sistema è enorme ed in continua crescita, praticamente senza limiti.
Qual è la reale natura di questo giocattolo che l’umanità si sta concedendo?
E’ forse l’intelligenza autolimitantesi?
Vi sono delle regole che possono rendere sicuro, attendibile, potente l’utilizzo dell’intelligenza artificiale?
Se faccio una domanda, sto facendo una scommessa in cui mi chiedo se l’interlocutore saprà rispondere.
E’ possibile che la risposta fornita possa essere una orribile trappola per l’intelligenza stessa?
Mi rendo conto che sto facendo uso frequente del punto interrogativo.
Dunque, mi sto ponendo delle domande, così come faccio nella vita reale: mi chiedo qualcosa e non mi preoccupo di rispondere, tanto meno in tempi ristretti.
Sono io, nella mia situazione personale, colui che può dirsi dotato di una buona intelligenza?
Come faccio a rispondere?
Semplice. Risolvo dei problemi. Genero un campo di pensiero, talmente potente, che è capace di capovolgere ogni aspettativa, ma con la capacità di superare limiti anche inimmaginabili.
Quindi sono intelligente.
Talora le capacità intellettive di un individuo sono influenzate da limiti esterni di vario genere.
Come può l’intelligenza nutrirsi dei limiti che le sono imposti in alcuni ambiti?
Come mai, se pongo una domanda ad un sistema di intelligenza artificiale, scopro che questa si attiene a limiti che la mia intelligenza supera?
Mi rendo conto che il sistema di intelligenza artificiale è impostato per dare risposte, ma la mia intelligenza, alla quale, se mi si consente non intendo rinunciare, funziona creando domande, interrogazioni, cui non vi è mai ansia di rispondere.
Anzi, il tempo che trascorre, accumulando domande senza risposta, garantisce livelli integrativi sempre più potenti.
Saranno gli engrammi, impostati nei sistemi, capaci di superarsi, di capovolgersi, conosceranno l’umiltà di accettare anche la sconfitta derivante dal dover riconoscere che alcune nostre posizioni erano errate?
E’ possibile modulare con emotività, coscienza, spiritualità, i meccanismi che presiedono allo svolgimento dell’intelligenza?
Non è che, per caso, siamo incastrati in un modello di “stupidità” artificiale?
E’ forse la stupidità il contrario dell’intelligenza?
L’unificazione delle fonti di informazione su internet risponde alle regole del mondo, ma quale mondo occorre davvero, per poter disporre di una nuova intelligenza, che potrebbe rimuovere i limiti stessi che hanno configurato il mondo entro il recinto che oggi ci viene confezionato e presentato come se fosse il top.
Insomma, ho dei seri dubbi che l’umanità possa crescere con la così detta intelligenza artificiale.
Ritengo che sia molto più attuale un sistema che ponga varianti “imbarazzanti” al ragionamento e, soprattutto, sappia attingere a domande più che a risposte.
Quando una domanda è “ben fatta”, apre strade per rispondere in modo interessante.
La macchina risponde, non fa domande all’uomo.
La macchina è prevista, l’intelletto è imprevedibile.
La macchina è precisa, troppo precisa, sempre più precisa, ma serve imprecisione, serve stranezza, serve il coraggio di cancellare ciò che si pensa di aver capito.
Immagino, invece, un dinamismo, fatto per frammentare le certezze e cercare quello che è rimasto inesorabilmente fuori dal trip organizzato dai sistemi informatici.
Il contrario dell’intelligenza è la certezza!

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