Ricordi di bambino

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Ricordi di bambino

E’ come se non me ne fossi accorto, e mi sono ritrovato ad una certa età.

Capita di attraversare tratti di strada, che mi ricordano qualcosa. Per esempio, vi è una strada in discesa, che costeggia la scuola elementare dove ho frequentato i miei primi cinque anni di scuola, con il grembiulino.

La mattina, il primo giorno, la mia mamma mi portò per mano e mi fece vedere la scuola, dove conobbi i miei amichetti di classe e il mio maestro. Era molto garbato  e mi guardava con quegli occhi scuri dietro le lenti degli occhiali, sempre limpide e cristalline. Le classi erano ampie e luminose, con i banchi di legno e con il foro per il calamaio, cha abbiamo usato per i primi due anni. Poi venne la prima penna a sfera, la mia era grigia con l’estremità trasparente, bellissima, volava e non finiva mai di scrivere.

Per due anni, da don Arrigo, col suo beccuccio bianco, comprai i pennini, quelli in ferro costavano cinque lire l’uno e quelli in ottone erano venduti a dieci lire, poi vi erano anche quelli in acciaio inox che erano una sciccheria. Il tratto d’inchiostro era diverso, ma preferivo quello del pennino in ottone, che offriva una sensazione di avanzamento pastoso ed importante sul foglio di carta biancastro e anche un poco peloso.

L’acquisto del pennino era una festa e veniva celebrato con rituali di bella grafia, per soddisfare il maestro e compiacerlo per ripagarlo per gli sforzi ad insegnarmi a scrivere. Scrivevo con la mano destra, ma mi ostinavo a tenere la penna in un modo strambo. Il maestro non è mai riuscito a cambiare il mio modo di scrivere, anche se il risultato grafico non era dei peggiori. Col tempo, ho fatto tutto con le due mani.

I corridoi della scuola, fra le aule, avevano sui muri gli appendiabiti, dove mettevamo i nostri cappottini. Quando pioveva, avevo sempre con me una mantellina impermeabile celeste, con dei fori a tasca ai lati ed un cappuccio, che sembravo un personaggio delle fiabe. Era meraviglioso camminare sotto la pioggia per tornare a casa e poi asciugarsi vicino ai termosifoni.

Le automobili erano sporadiche e tutti i bambini andavano a scuola a piedi, accompagnati i primi tempi e poi da soli. Questo poteva essere un problema quando si usciva, dopo la campanella, perché i ragazzini erano troppo vivaci e si prendevano a colpi di borsa in testa. Non ho mai aderito e mi difendevo abbastanza bene.

Le scarpe erano importanti e che festa quando mio padre mi comprava quelle nuove. Ricordo la marca Gasparotto, con il pellicciotto di lana all’interno, per rimanere caldi col freddo e la pioggia.

Vi erano i rientri pomeridiani, e poi alla sera un vecchietto con il suo carretto che vendeva liquirizie, marmellate di cotogne e gomme da masticare. Sembrava l’albero della cuccagna, tutto costava poche lire.

Ero molto studioso, mi piaceva capire tutto, così non avevo bisogno di seguire le lezioni in classe con grande attenzione, perché sapevo già gli argomenti, e per non annoiarmi portavo sempre con me oggettini da smontare e cosette da costruire, pinze e giraviti….che diverse volte finivano per essere sequestrate dal maestro e, ahimè, non restituite.

Spesso portavo con me dei piccoli motori elettrici che facevo funzionare sotto il banco, montavo e smontavo….era una febbre. Eppure ero il più bravo della classe.  Una strana sensazione di rallentamento iniziava a farsi sentire, perché trovavo la scuola troppo lenta per i miei gusti.

Il pomeriggio, riuscivo a raggiungere le campagne intorno ad Altamura e andavo a caccia di pezzi di legno per costruire i miei aerei. Si trattava del legno di ferula, un arbusto che raggiunge anche tre metri di altezza e poi diventa leggerissimo, come il legno balsa per aeromodellismo. Era una soluzione povera ma efficace, non si chiedeva praticamente nulla ai genitori. Eppure la fantasia non mancava ed era sempre al galoppo per trovare soluzioni costruttive  e di gioco.

La mia attività preferita era smontare di tutto, quando i miei genitori si distraevano un po’. Ho smontato radio, frullatori, lavatrici, ogni genere di diavoleria. Avevo il mio kit di attrezzi, diversi dei quali erano stati sapientemente sottratti a vari artigiani che incautamente erano caduti nelle mie grinfie a casa, per alcune riparazioni. Gli attrezzi erano la cosa più bella del mondo e mi davano un senso di padronanza della realtà che resta tutt’oggi impareggiabile.

Poi venne il capitolo della costruzione di macchinine in legno, con le ruote fatte di cuscinetti di camion… sempre più sofisticate, che venivano lanciate a tutta velocità per le discese ripidissime del paese e mi rendevano famoso fra gli amici. Con un carrettino di legno, facevo il giro dei meccanici e raccattavo pezzi di motori e di ogni altro organo meccanico, che poi portavo a casa, fra le strilla della mamma. Come mi piaceva andare a letto con l’odore del grasso da meccanico ancora fra le mani!

Una confidenza non indifferente con ogni sorta di meccanismo diventò padrona della mia persona e rappresentava la base che mi avrebbe portato ad essere un mago dei motori, qualche anno più in avanti.

Le mie giornate erano vissute all’insegna dell’applicazione di ogni mio ingegno possibile, non disdegnavo mai di leggere quante più pagine possibili su ogni argomento. La biblioteca era il mio rifugio abituale, quando avevo bisogno di raccogliermi e capire come dovevo agire quando uscivo di lì.

Oggi mi rendo conto che una perenne dimensione sognante ha sempre pervaso la mia vita, sin dalla più tenera infanzia. Vi è un genio costruttivo, praticamente illimitato, che può affrontare e risolvere forse ogni situazione possibile. Che cosa non ho smontato nella mia vita, che cosa non ho studiato?

Un senso di libertà assoluto mi ha sempre caratterizzato e da bambino sapevo che potevo di tutto. Mi piaceva dilettarmi con ogni situazione che risultava difficile, per poi riuscire a risolverla magistralmente. Lo stesso è sempre stato per la matematica. Poi è arrivato il gioco di scrivere e raccontare le cose, suscitando emozioni fortissime in chi ascolta, la tecnica di descrivere come se fossero delle fotografie tutte le realtà di cui mi occupo.

Ricordo il senso di poesia che ha sempre pervaso ogni mia percezione…..i primi ricordi, fra le braccia di mia madre, pochi mesi di vita, i colori, i luoghi, il calore del suo seno, gli abitini che indossavo, gli odori, e quel senso di  calore che mi usciva dalle mani, quando le avvicinavo alle cose.

Ogni gesto anche il più delicato è sempre stato fatto ad occhi chiusi, sino ad oggi, quando costruisco un circuito elettronico. Gli occhi chiusi dischiudono una percezione precisissima della realtà, spesso all’interno delle sue molecole. I suoni corrispondono a dinamiche invisibili, sino a chiedere alla materia istruzioni su come plasmarla senza romperla.

Vi è un ricordo eclatante che si impone fra le mie esperienze più delicate e magiche della mia infanzia. Si tratta del miele. Il pomeriggio, con la manina nella mano di mia madre, ci recavamo a volte a comprare il miele….una casa accanto alla scuola elementare…..vi era sempre una luce magica, gialla, come un riverbero, attraverso il boccaccio di vetro che conteneva il fluido color ambra del miele. Anche quando andavamo da Peppino, che aveva spesso molti boccacci di miele su un mobiletto bianco, in mezzo alle mozzarelle.

E proprio Peppino è un altro caro ricordo di quando ero molto piccolo….quando egli veniva con la sua bicicletta e con un bidone di latte, fatto di alluminio, al quale attingeva con un mestolo particolare il prezioso liquido bianco che amavo bere ghiacciato. Ricordo il suono del mestolo che si immergeva nel latte gorgheggiante, strisciando leggermente sull’orlo del recipiente in alluminio. Ricordo quando Peppino mi chiamava simpaticamente Totonno. E poi versava il latte dentro il bottiglione di vetro, sempre brillante e accattivante.

Tornano in mente i bachi da seta che allevavo in classe e che nutrivo con le foglie dei gelsi del cortile della scuola.

Ricordo la raccolta delle ghiande in villa, quando pioveva, con i miei amichetti, per costruire le pipe, con lo stuzzicadenti.

Tutto aveva un bagliore di luce attorno, ma ho capito molti anni dopo che cosa era. L’esplorazione della realtà: l’unico scopo della mia vita!

Il senso dell’unità della vita, quando posso solo lasciarmi andare alla mia profonda natura. La mia memoria, che non lascia andare via nulla. Le percezioni fuori del tempo. Il senso dell’eternità.

6 COMMENTI

  1. Un vero tuffo nel passato, che arriva cosi’ nitido nel presente. Peccato, che non capita a tutti, ricordare la propia infanzia!!!!! E’ bello sentire narrare il passato delle persone, ti aiuta a conoscerle meglio, e ad apprezzare ancora di più quello che fanno. Altri tempi, dove tutto era molto più semplice, e si apprezzavano veramente, quelle poche cose che ci offrivano. Ora, si fa a gara a chi possiede più telefonini, più videogiochi, più tutto!!!!!! Complimenti dott. Rainò, se tu non fossi stato cosi’ in passato, oggi non saresti, quello che sei!!!!

  2. Ogni individuo ha la sua storia, la sua famiglia, il paese natio, il contesto sociale e culturale dove è vissuto, le persone che hanno attraversato la sua strada; egli è frutto di un albero, cresciuto in una terra, dove è stato impiantato, con i concimi naturali che ha avuto a disposizione e senza possibilità di trapiantarsi in condizioni diverse. Con la crescita, si è trovato le ali, per poter volare in lungo e in largo, il pensiero, per poter valutare e scegliere le mete, la capacità di correre o solo di camminare, i vincoli della vita in comune con altri.
    Le scelte e le decisioni prese l’hanno portato al presente e il mondo che lo circonda gode, o soffre, per ciò che ha realizzato. Il futuro, attimo per attimo, viene condizionato dall’esperienza e dalla storia pregressa, determinato dalle scelte e dai passi che farà.

  3. Caro Toto’,
    il piacere del possesso degli strumenti lo avevo percepito durante la visita alla tua officina/laboratorio. Fiera la tua voce mentre vantavi di avere tutto cio’ che serve per costruire tutto in proprio!
    “Gli attrezzi erano la cosa più bella del mondo e mi davano un senso di padronanza della realtà che resta tutt’oggi impareggiabile.”
    L’altra cosa che traspare e mi conferma quello che ho imparato da grande: i grandi personaggi nascono già nell’infanzia, fin da piccoli, e maggiormente da adolescenti esercitano e giocano con intensa passione preparando le arti e le abilità che saranno la loro vita da grandi.
    In questo, il primo commento di Tina fa centro: i giochi umili, semplici e la curiosità dovrebbero essere l’occupazione principale dei nostri giovani, i cittadini del prossimo futuro. Questo breve racconto lo conferma. Un altro personaggio, che ho amato è stato Benito Livigni, scrittore ed autore unico che si è formato da bambino e i suoi racconti nelle serate passate a dibattere della nostra vita me lo hanno insegnato. Tu ora lo confermi, e per questo faccio sempre attenzione ai rispettare e stimolare le curiosità nei bambini e ragazzi, che hanno innata la curiosità e non chiedono altro che la possibilità di alimentarla. Il rispetto dei grandi

  4. Caro Salvatore, ogni volta che racconti una storia, il tuo vissuto, il tuo modo di fare e molto altro ancora, è sempre un’avventura, come se mi prendessi per mano e mi facessi crescere passo dopo passo. Sei il maestro dell’insegnamento. Riesci sempre a farmi emozionare con i tuoi racconti; quando parli in modo molto serio e arrabbiato, mi fai morire dalle risate, tanto da non poter trattenere il mio sorriso. Il tuo racconto riporta alla mente di tutti noi la nostra infanzia. Il tuo viaggio continua all’infinito; ci conto, non smettere mai di farmi crescere.

  5. Il bambino è il padre dell’adulto, scriveva Maria Montessori.
    E nel bambino c’è il seme di ogni possibilità.
    Il bambino andrebbe stimolato in modo da tirar fuori i suoi talenti, e poi educato alla libertà, allo spirito critico, all’esercizio dell’immaginazione e dell’intuito.
    L’attuale “sistema” è de-centrato, ma solo imperniato sul controllo delle masse, tra cui i bambini, che “devono” essere tutti allineati e tutti con standard precisi … appena si è fuori schema, il “sistema” tira fuori parole altisonanti “Ha bisogno di sostegno … ha bisogno dello psicologo”.
    Il bambino ha solo bisogno di essere sè stesso e di essere considerato un essere umano, nella sua totalità ed unità

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