Malattie infettive, febbre: vuoi una Tachipirina?

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Qualche considerazione sulle malattie infettive, febbre: vuoi una Tachipirina?

Questa è una trattazione di buon senso e di responsabilità, fatta da un Medico esperto, colto e maturo, che, lungi dal voler pontificare, ha il diritto/dovere di offrire le sue conoscenze a quanti vogliano trovarvi degli spunti per documentarsi, anche personalmente, ed utilizzare la propria intelligenza, al fine di non cadere troppo facilmente vittime di incongruenze, inganni e raggiri, tutt’altro che inconsueti.

Premetto che la trattazione seguente potrebbe essere ricchissima di riferimenti bibliografici, in quanto essa deriva da anni e anni di studi e approfondimenti del settore, giacché sono in possesso dei requisiti noetici ed esperienziali, accademici e professionali, più idonei a farmi esprimere in modo pertinente, nonché a trarre numerose conclusioni, senza nemmeno dovermi curare, più di tanto, della conferma puntuale tramite studi specifici su di un argomento o su un’altra questione, in questa trattazione.

Comunque, introdurrò alcune voci di Letteratura, per circostanziare almeno qualche punto più cruciale, in merito al quale potrebbe servire il sostegno di una linea già acclarata in affermazioni di studiosi che mi hanno preceduto.

E’ mia cura, prima di tutto assumermi la responsabilità di sentirmi cosciente dei ragionamenti che muovo, alla luce delle conoscenze ufficiali di Medicina, Biologia dei sistemi, Immunologia, Clinica delle Malattie infettive, ma anche in relazione al necessario equilibrio che occorre per assumere decisioni delicate in argomenti in relazione ai quali non dovrebbe essere competenza dei politici trarre conclusioni.

I toni autoritari e repressivi, che la classe dirigente sta utilizzando per l’argomento vaccini non è il più idoneo, specie se è evidente che, anche tramite manovre di condizionamento delle masse, si vorrebbe far credere che si fa di tutto per superare una presunta colpevolezza di fasce sociali che potrebbero opporsi alla sicurezza pubblica globale.

L’abitudine di far ruotare alcune prese di posizione attorno ad alcuni lavori scientifici, scelti come punto di orientamento centrale, rischia di azzerare ogni sfumatura, quando, invece, per le decisioni importanti, le sfumature possono fare la differenza.

Occorre dire, subito, una cosa: in relazione ai vaccini, la Letteratura è stracolma sia di lavori a sostegno che di lavori che evidenziano molti dubbi. E’ inutile andare a sollevare cavilli, solo perché si vuole valorizzare un ristretto gruppo di lavori, che sembrano confezionati a posta per incoraggiare alcune pratiche di enorme interesse per la farmindustria.

Quest’ultima sfumatura non è una mia illazione, a causa degli antefatti storici numerosi in tal senso.

Ritengo inutile, per i veri addetti ai lavori, nell’ambito di questa seduta, dover ricorrere allo sfoggio ora di una pubblicazione ora di un’altra, come se si trattasse di abiti da sfoggiare al bisogno, perché i veri addetti ai lavori hanno già, di per sé, contezza dei fatti dovrebbero essere solo posti nelle condizioni di poter parlare con esperienza ed onestà.

Bisogna prestare attenzione proprio ai concetti sui quali quasi non si osano sollevare dubbi, in quanto, all’interno di alcuni di questi, potrebbe nascondersi un automatismo tutt’altro che scientifico.

Vorrei che si riflettesse su un fatto storico, in relazione al vaiolo, ma che, opportunamente interpretato, consente di trarre molte altre conclusioni e di assumere un comportamento più opportuno di fronte al tema delle vaccinazioni, correlate univocamente all’intento di eradicare le malattie.

Un esempio.

“Una volta eradicato il vaiolo, i casi di malattia secondaria a vaccinazione superarono quelli di contagio naturale e la vaccinazione dei bambini venne interrotta nel 1972 negli Stati Uniti  e, nei primi anni settanta, nella maggior parte dei paesi europei “ (Smallpox, historical significance:  in  Worl Health organization, Factsheet)  (Pütz MM, Alberini I, Midgley CM, Manini I, Montomoli E, Geoffrey L. Smith: Prevalence of antibodies to Vaccinia virus after smallpox vaccination in Italy, in J. Gen. Virol., vol. 86, nº 11, 2005, pp. 2955–60,DOI:10.1099/vir.0.81265-0, PMID 16227216).

 

A partire dal 1986, la vaccinazione antivaiolosa è cessata in tutti i paesi ed è raccomandata solo per chi, lavorando in laboratori biologici, è a rischio di esposizione professionale.

(Atkinson W, Hamborsky J, McIntyre L, Wolfe S (eds.), Smallpox , in Epidemiology and Prevention of Vaccine-Preventable Diseases (The Pink Book), 9ª, Washington DC, Public Health Foundation, 2005, pp. 281–306).

Insomma, come è noto, il vaiolo è scomparso soprattutto per il rispetto ferreo della quarantena e dell’isolamento.

Le infezioni che prima dell’era vaccinica colpivano le persone che si potevano dire non vaccinate hanno, in seguito, con l’avvento delle vaccinazioni, colpito una quota crescente dei vaccinati.

Ciò è vero anche per altre malattie che non siano il vaiolo, come si evince da diverse pubblicazioni scientifiche (un esempio – MEDINA and NORTH (1999), Genetically susceptible mice remain proportionally more susceptible to tuberculosis after vaccination. Immunology, 96: 16–21. doi:10.1046/j.1365-2567.1999.00663).

Questi esempi di Letteratura servono solo a dimostrare che il serbatoio di Letteratura esiste ed è grandissimo. Non possiamo riportarlo tutto in questa occasione.

Una solida intervista, di questi giorni,  a cura di Gioia Locati de “il Giornale.it”, dal titolo: ”Vaccini, quando l’allarme sanitario è deciso dai politici”, effettuata al Dr. Maurizio Bonati, ricercatore del Mario Negri, responsabile dei dipartimenti di Salute pubblica e Salute materno infantile, illumina diverse perplessità tecniche, vuol dire per addetti ai lavori, cioè Medici, che però vengono posti nella condizione di non poter esprimere liberamente la propria opinione, quando essa è discordante con l’editto governativo totalizzante nel senso della vaccinazione di massa (http://blog.ilgiornale.it/locati/2017/02/28/vaccini-quando-lallarme-sanitario-e-deciso-dai-politici/).

Trattasi solo di un esempio, ma le considerazioni caute, e tutt’altro che superficiali, sono numerose, anche se il clima politico è fortemente di tipo repressivo.

Quando si tratta di questioni così delicate, il primo aspetto è garantire la comunità dall’introduzione di un eventuale errore di massa. E’ già accaduto, in passato.

L’omissione è sempre meno grave dell’errore per un intervento voluto e pianificato.

Per di più, occorre dire che vi è anche una gran confusione, parlando di contagiosità, in relazione all’effetto gregge, in quanto la contagiosità è utilizzabile come concetto dirimente soltanto se le malattie hanno modalità di contagio particolari, che il blocco delle malattie in questione, attualmente, non rispecchia uniformemente.

Insomma, vi è una gran confusione e una tendenza evidente a volere far confluire nella soluzione vaccinica ogni intento preventivo, quando è evidente, al contempo,  che vi sono enormi interessi in gioco dietro a questa eventualità, che puntualmente si vuole riattualizzare, anche in presenza di molte perplessità, che non sono prive di sostegno scientifico.

Senza contare che quando vi è molta confusione in un argomento, è sempre bene esaminare tutti gli aspetti, anche quelli scontati, di cui, per abitudine non si pone in discussione nulla. Per esempio, la febbre.

Sulla febbre occorre intrattenersi per alcune precisazioni.

Essa è definita come uno stato patologico temporaneo che comporta un’alterazione del sistema di termoregolazione ipotalamico e una conseguente elevazione della temperatura corporea al di sopra del valore considerato normale (circa 36.8 gradi Celsius per gli esseri umani  in condizioni basali).

Già questo modo di esprimersi allude a un disturbo, mentre la febbre è il risultato di un meccanismo di funzionamento normale in alcune situazioni biologiche.

Anzi, proprio la capacità di rispondere con una febbre è il segnale di una particolare salute, che garantisce l’approntamento del network neuro-endocrino-immunologico, per arginare il rischio di infezione.

I clinici sanno che, in soggetti che non possono, per particolari situazioni, realizzare la febbre, è vano qualunque trattamento antibiotico in corso di infezione.

Infatti, i soggetti giovani e sani esibiscono risposte febbrili, pronte e veloci, che risolvono spontaneamente il quadro correlato.

Per quanto riguarda i valori della temperatura corporea di base, in condizioni normali, è ben noto, dagli studi di cronobiologia, che esiste una enorme variabilità della temperatura, a seconda di circostanze e orari.

Il concetto che va illuminato, senza timore, è che la temperatura corporea è un parametro per nulla rigido, che occorre regolare, da parte dell’organismo, sino ad arrivare anche a valori alti, se l’organismo ha riconosciuto il bisogno di tale modificazione.

Dunque, la febbre non è la malattia, bensì è l’espressione della malattia, è la reazione della persona per superare il momento difficile, consentendo anche, con le sue caratteristiche cliniche, di poter individuare meglio le cause che l’hanno posta in funzione.

In Letteratura, si allude anche al valore del controllo del sintomo febbre, tramite alcune sostanze farmacologiche, come se la febbre fosse un problema da eliminare. Ci si pone il problema di fare sparire la febbre in modo efficace.

Invece, l’efficacia non deve essere considerata la precoce sparizione della febbre, bensì la conduzione del caso clinico in modo intelligente, ma combattere la febbre non è intelligente ed è pericoloso, in quanto spiana la strada alla virulenza dell’infezione.

Le premesse di cui sopra, in relazione al contrastare la febbre, parlando secondo le abitudini, distorcono già dall’inizio, l’interpretazione della febbre stessa e ne determinano un trattamento che crea conseguenze negative nell’evoluzione del quadro patologico in questione.

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Dea Febris

La febbre è al centro delle sviste più grossolane, che inducono convinzioni pericolose nelle persone, portandole a provare terrore e ad assumere alcuni comportamenti, che sono il contrario di quelli opportuni da tenere.

Alcuni punti fermi:

La febbre è frutto di una modificazione del set point ipotalamico, che, tramite complessi e preziosi meccanismi, si attesta a livelli diversi da quelli basali, in concerto con la liberazione di alcune interleuchine, prodotte dai macrofagi, eccitati dagli stimoli estranei all’organismo (infezioni, tossine, proteine estranee), che a loro volta stimolano la secrezione di prostaglandine E2, essenziali per garantire un’adeguata risposta ai germi.

La febbre ostacola la proliferazione di batteri e virus che, all’interno dell’organismo, non possono sopravvivere a temperature di 38-39°C.

La febbre è come il “rumore” che ci assicura che il “motore immunologico” è in moto.

In corso di infezioni batteriche gravi, la sopravvivenza appare inferiore nei soggetti con scarsa reazione febbrile (Fiona M. Russell, Frank Shann, Nigel Curtis, & Kim Mulholland:  Policy and Practice Evidence on the use of paracetamol in febrile children.   Bulletin of the World Health Organization 2003, 81 (5).

Gli antipiretici rovinano il network psico-neuro-endocrino-immunologico, che ha richiesto la febbre, impedendo di riconoscere nuovamente la stessa esperienza, utilizzandola come memoria utile per difendersi in una ulteriore occasione: è come se, contrastando la febbre, noi praticassimo un “antivaccino”.

La febbre aumenta la resistenza dell’ospite alle eventuali infezioni successive.

La febbre è un fattore protettivo verso lo sviluppo di allergie: nei primi anni di vita può contribuire ad orientare la risposta immunologica in senso Th1 (reazione verso i microbi), riducendo la comparsa di allergie negli anni successivi, con tutte le ripercussioni di vario genere, compreso il dilagare di intolleranze alimentari (Williams LK, Peterson EL, Pladevall M, Tunceli K, Ownby DR, Johnson CC:  Timing and intensity of early fevers and the development of allergies and asthma.  J Allergy Clin Immunol. 2005 Jul;116(1):102-8.

 

La febbre è un fattore di protezione dai danni cognitivi a lungo termine in caso di malaria cerebrale. Proprio i danni cerebrali come conseguenze cognitive, temuti come complicazione della febbre, vengono evitati se c’è reazione febbrile.

La febbre richiede attenzione in malati che hanno ridotte riserve cardiocircolatorie e renali: questa situazioni speciali vanno valutate di volta in volta.

La febbre, molto raramente supera i 41°, ma in tali situazioni non risente nemmeno degli antipiretici, in quanto essendo collegata a danni neurologici che scatenano una condizione del genere.

Che la febbre elevata possa determinare danni ai tessuti è un timore diffuso, ma mai dimostrato.

L’insorgenza di convulsioni febbrili è la complicanza più frequente; peraltro non è correlata al valore elevato della temperatura e, benché sia un’evenienza temuta, non ci sono evidenze a sostegno che le convulsioni febbrili possano causare danni cerebrali o successivi deficit cognitivi.

Non esiste un motivo che indichi la necessità di fare scendere rapidamente una febbre, se non in casi particolari.

La gravità delle sindromi infettive può aumentare, a causa degli antipiretici, per alterazione dell’immunità del paziente (sono a conoscenza di un numero grande di storie di questo genere).

Il nostro organismo produce la febbre, non solo come risposta alle aggressioni microbiche, ma anche per sbarazzarsi dalle tossine accumulate, in seguito ad una alimentazione eccessiva o inappropriata, a periodi di stress e strapazzo psicofisico, sedentarietà, sovrappeso, ritenzione di cataboliti, svolgendo anche un ruolo riequilibrante per la salute nella sua totalità.

 

La febbre è anche al centro di una antichissima cultura in cui essa è venerata, come evidente in mitologia, quale fonte di salute, di rinascita, di purificazione.

 

“Dammi la forza di indurre la febbre e curerò ogni malattia” (Parmenide).

La nostra cultura ha deviato, nel giro di pochi anni, il buon senso millenario che leggeva nella febbre un significato molto diverso, addirittura, al contrario.

Quindi, ostacolare la febbre non consente all’organismo di godere di molti aspetti positivi e pone anche le premesse per un aggravamento della patologia che l’ha prodotta, ma anche crea le premesse per una maggiore morbilità nei periodi successivi.

 

Ovviamente, non è fuori luogo far notare che le persone che non usano contrastare febbre e infiammazione hanno una incidenza di cancro completamente diversa dalla popolazione, diciamo, normale.

Vi è da chiedersi come mai, questi argomenti, così come li ho trattati in queste righe, non sono di appannaggio del sistema tradizionale medico, che, anzi, alimenta un comportamento contrario alla logica scientifica della febbre, prestando il fianco alle peggiori tendenze del volgo.

Personalmente, ritengo pericolosissimo continuare a ritenere che la verità sia quella che si consuma ogni giorno, nei modi e nei tempi che rappresentano, ormai una delle più verosimili cause di deterioramento della salute individuale e collettiva.

E’ anche questo un effetto gregge? Al contrario?

Per non parlare dei rischi dell’uso degli antiinfiammatori in genere, ma anche del così abusato paracetamolo (es. Tachipirina), che, entrato ormai nella confidenza della gente, viene impiegato come se fosse il migliore amico.

L’avvelenamento da paracetamolo è una forma di intossicazione farmacologica ottenuta per elevata somministrazione del farmaco analgesico paracetamolo. L’avvelenamento da paracetamolo produce danni a livello epatico ed è una delle più comuni cause di avvelenamento nel mondo. Negli Stati Uniti d’America e nel Regno Unito è la più comune causa di insufficienza epatica fulminante.

(Anne M. Larson, Julie Polson, Robert J. Fontana, Timothy J. Davern, Ezmina Lalani, Linda S. Hynan: Acetaminophen-induced acute liver failure: Results of a United States multicenter, prospective study, in Hepatology, vol. 42, nº 6, 2005, pp. 1364–1372, DOI:10.1002/hep.20948)  (S D Ryder, ABC of diseases of liver, pancreas, and biliary system: Other causes of parenchymal liver disease, in BMJ, vol. 322, nº 7281, 2001, pp. 290–292, DOI:10.1136/bmj.322.7281.290).

Molti soggetti con avvelenamento da paracetamolo possono non sviluppare alcun sintomo nelle prime 24 ore successive al sovradosaggio. Altri possono riportare inizialmente sintomi aspecifici, come vago dolore addominale e nausea. Con il progredire dell’avvelenamento, si possono sviluppare i segni dell’insufficienza epatica, che includono ipoglicemia, acidosi metabolica, diatesi emorragica ed encefalopatia epatica. In alcuni pazienti si può avere la risoluzione spontanea dei sintomi, sebbene casi non trattati possano anche portare alla morte.

Il danno al fegato, o epatotossicità, non deriva dal paracetamolo tal quale, ma da uno dei suoi metaboliti, l’N-acetil-p-benzochinoneimmina (NAPQI). L’NAPQI riduce la concentrazione di glutatione, un antiossidante naturale, a livello epatico, e causa un danno diretto alle cellule del fegato portando all’insufficienza epatica.

La facilità con cui l’evenienza inauspicata da Paracetamolo interviene è legata alla facile reiterazione con cui lo si somministra, nell’intento di fare scendere delle febbri resistenti.

Ma il rationale è che proprio una febbre tenace è una febbre quanto mai indispensabile, a causa dei meccanismi che sottendono i nessi fra infezione e febbre.

Di qui, gli interventi della FDA e dell’AIFA, nell’intento di ridurre i dosaggi e allungare gli intervalli di somministrazione di Tachipirina e degli altri prodotti contenenti Paracetamolo. Tali fatti non sono facilmente resi di pubblico dominio. Eppure si potrebbe fare pubblicità anche di tali verità!

Le ditte produttrici reagiscono e premono molto per rassicurare, ma il dubbio resta nell’aria e gli studi scientifici che allarmano sono sempre di più.

Insomma, si avverte una certa pressione nel voler lasciar convinta l’utenza che sia giusto controllare la febbre con gli antipiretici.

Se la compromissione dell’immunità, derivante dall’abitudine di contrastare la febbre, dovesse essere importante, ed io ne sono fermamente convinto, vorrebbe dire che per molti anni noi abbiamo posto le persone con una malattia infettiva, agli inizi, nelle condizioni di aggravarsi e complicare l’evoluzione, favorendo la stessa infezione e compromettendo la prognosi.

Vorrebbe dire che molti esiti negativi e anche mortali di malattie insorte con febbre sono stati determinati dal malvezzo di combattere la febbre.

Vorrebbe dire che molte meningiti, molte altre malattie infettive hanno assunto delle gravi modalità per esprimersi, perché noi abbiamo sbagliato la terapia.

Ma non era ciò che i medici facevano nel medioevo, quando salassavano i pazienti ipotési,  e li purgavano, determinandone la morte?

Ma non è che ci portiamo dietro una coda di medioevo?

Trovo anche assurdo che persino la febbre insorta dopo un vaccino sia contrastata con Tachipirina o simili!

Come se persino la risposta immunologica determinata dal vaccino debba ridimensionarsi secondo il nostro volere, che non tollera la febbre.    Assurdo!

La febbre non è un vezzo, un capriccio, essa è una necessità, e non bisogna sottovalutarne mai la sua importanza strategica, nella storia evolutiva di qualunque evento infettivo, sia individuale che collettivo.

Probabilmente, spuntando le difese individuali tramite antipiretici, rischiamo di agevolare  l’epidemia.

La febbre è tanto più importante quanto più l’organismo la esibisce, quindi è il contrario di ciò che abitualmente si fa, quando si aspetta 48 ore e si ritiene pericoloso un incremento della temperatura oltre i fatidici 38°.

La convinzione, infusa nella massa, della pericolosità del binomio febbre/convulsioni, è assolutamente infondata, salvo rari casi, mentre viene invocata stabilmente come deterrente che autorizza l’uso dell’antipiretico.

Che logica c’è nel tollerare una risposta e nel volerla eliminare proprio quando l’organismo la realizza in modo più netto e più necessario?

Qualcosa non torna nei nessi fra comportamenti terapeutici e logiche biologiche sottese.

Tutto ciò non è estraneo al complesso di dinamiche legate alla storia delle malattie infettive, ma anche al volersi ostinare a ricondurre l’importanza della vaccinoterapia massiccia al ruolo di fattore preminente per la prevenzione delle stesse.

Per il momento sembra di poter dire che l’approccio alle malattie infettive, tramite antipiretici, è già degno di una pesante disapprovazione. Ma nessuno ne parla.  Quindi, attenzione!

Il sapere medico è troppo ricco e articolato, per doversi sottomettere a questa lettura che lascia molto spazio all’imprecisione.

Sto affermando che il modo abituale di approcciare infezioni e febbre è illogico, pericoloso, e che crea la piattaforma per una grave deformazione del  decorso delle malattie, ma noi ci preoccupiamo dell’effetto gregge!

Ogni volta che spuntiamo le armi di difesa dell’organismo, contrastando la febbre, combattendo ciecamente l’infiammazione, e in altri simili maniere, stiamo contribuendo all’aumento smisurato della virulenza del germe, stiamo abbattendo le difese della persona, stiamo contribuendo alla diffusione di colonie potentissime di microrganismi, tutti fattori che giocano un effetto gregge al contrario, cioè di tipo assolutamente negativo.

Parliamo ora dell’effetto gregge classicamente inteso, come lo propongono solitamente.

L’effetto gregge è un modello di astrazione matematica che un microbiologo ed un clinico non avrebbero mai pensato.

Un vero e proprio esercizio di calcolo matematico, che non ha nulla a che fare con lo studio delle condizioni individuali, che rappresentano il solo ambiente ove è possibile che una malattia infettiva si faccia strada, per mille caratteristiche che devono essere conosciute e studiate con attenzione, senza banalizzare con estensioni concettuali statistiche, che sono mera astrazione, in quanto la responsabilità dei fattori non può essere impersonale e non può essere fatta incombere come un calcolo delle combinazioni.

Direi che allontanarsi dallo studio dei singoli soggetti è anche pericoloso, perché distrae dai meccanismi autoctoni del campo ove la battaglia si consuma.

E’ come dire che, se c’è un genio in mezzo a mille persone, questo gruppo è influenzato dalla sua genialità, oppure il contrario.

La malattia infettiva è una questione legata, infine, ad un individuo per volta e dipende essenzialmente da parametri che iniziano e finiscono all’interno del suo ambito personale. Altrimenti non potremmo spiegare come, a parità di  microorganismi in gioco, alcuni si ammalano e altri no.

I fattori di promozione o di inibizione dell’infettività non sono deducibili da calcoli matematici teorici.

L’epidemiologia è da comprendere in mezzo alla vita dei singoli individui, delle loro abitudini, dei loro controsensi, delle falle che, con la loro ignoranza, creano.

I discorsi utilizzati da chi propende per la validità dell’effetto gregge sembrano voler attribuire ai microorganismi una specie di pensiero cosciente, ma questo modo di pensare è assurdo ed è troppo antropomorfico.

Le malattia infettive sono la combinazione della pressione esercitata dall’ambiente, in misura dei vuoti di conoscenza, che ne intaccano la salubrità, e dei vuoti di protezione individuale, dovuti agli errori di vita, a situazioni patologiche etc. che generano anche una particolare vulnerabilità alle vaccinazioni e quindi rischiano di controindicarle.

La probabilità di avere contatto con un malato, che l’effetto gregge scongiurerebbe, non considera che una persona deve fare i conti soprattutto con la qualità della propria vita, più che con la percentuale di possibilità di infettarsi che può correre nella sua vita sociale di tutti i giorni.

E confermo che negli studi a sostegno dell’effetto gregge, l’impostazione è molto matematica, ma, facilmente,  di tipo proprio cabalistico: mi sembra un controsenso.

Capisco che molti si adoperano per questo modello, in buona fede, ma suppongo una profonda ignoranza in termini di preparazione scientifica, microbiologica, immunologica e clinica (che i miei titoli accademici mi garantiscono, senza tema di smentite).

Mi viene in mente il calcolo di Mendel, per la genetica. Gli esperti sanno che le percentuali teoriche di un tipo o del suo contrario possono manifestarsi una volta su un miliardo, oppure immediatamente su una sola opportunità.

Gli inesperti iniziano a teorizzare  facilmente, ma la realtà dimostra che da due genitori portatori sani di una malattia possono nascere decine di figli tutti sani oppure tutti malati.

L’effetto gregge è un artefatto di ragionamento, che serve a convincere gli uditori, ingenui e ignoranti, che gli argomenti sottesi portino acqua al bisogno di estendere una metodica che, attingendo ad un livello di conoscenze superiore, assolutamente non risulterebbe sensata.

E poi vi è molta tautologia. Del tipo: per capire che cosa significa l’immunità di gregge bisogna studiare l’immunità di gregge. Come dire: per capire come è fatta la frutta, bisogna parlare di come sono fatte le pesche!

L’esemplificazione dell’effetto gregge è uno dei più clamorosi esempi di come un profondo vuoto culturale, nelle mani sbagliate, possa creare un fantasma vestito di scienza, assolutamente pericoloso per la comunità.

Altre espressioni del tipo di quelle indicate parlando dell’effetto gregge sono: in caso di infezione, è possibile trasmettere la malattia direttamente o indirettamente ad altri soggetti suscettibili.

Il giro di elucubrazioni che si leggono quando è al centro dell’attenzione l’effetto gregge, è talmente arzicòcolato, che davvero è ammirevole il funambolismo dialettico, ovviamente bocciato in tronco da una serie di conoscenze scientifiche.

Il massimo della disonestà è attribuire a coloro che si pongono dei dubbi sulla opportunità delle vaccinazioni di massa una specie di etichetta criminale, che davvero fa sorridere, quando l’unico imperativo è quello di non arrecare danno ad alcuno con atti medici evitabili e potenzialmente forieri di catastrofe, a fronte di molteplici esperienze storiche registrate.

Lo scenario degli studi che sottende alla assoluta pericolosità della vaccinofilia di massa è talmente ampio, da non dover perdere del tempo per esibirlo.

La formazione scientifica globale di qualunque Medico, portato a ragionare con semplicità e con onestà, non può non sollevare obiezioni pesanti sulle decine di vaccini che qualcuno vorrebbe che tutti praticassero senza farsi domande.

– Topley WWC, Wilson GS. The Spread of Bacterial Infection. The Problem of Herd-Immunity. Journ. of Hyg. xxi: 243-249.

Questo è uno dei principali studi dai quali origina la convinzione dell’effetto gregge.

E’ uno studio talmente limitato, e assurdo per la ristrettezza dei ragionamenti ivi contenuti, da lasciare inorriditi sul coraggio di considerarlo autorizzante ad affermare l’ovvietà delle campagne totali di vaccinazione. Questo studio è condotto su animali da laboratorio e quindi completamente privo di qualunque connotazione umana, comportamentale, pedagogica, socioculturale.

Voglio fare alcuni esempi grotteschi.

1)      Il caso di una donna di trentacinque anni, che andava incontro, da un certo tempo, a recidive settimanali di gravi forme di tonsillite purulenta, e che assumeva, per tale motivo, a ripetizione, antibiotici e antiinfiammatori, senza mai guarire perfettamente. Ella stava sempre peggio. La verità è che il suo nuovo amante praticava sesso anale, poi orale e vaginale, ma nessuno lo sapeva. La situazione si è risolta, informando la donna che le sue abitudini erano responsabili della sua malattia recidivante.

2)      Il caso di una bimba di tre anni, che, all’asìlo, aveva imparato a toccarsi l’ano e poi si metteva le mani in bocca. Febbri recidivanti con eritema persistente delle fauci e ipertrofia tonsillare. Il quadro si è risolto quando i genitori hanno capito, sollecitati dal Medico, e hanno spiegato alla bambina di comportarsi in modo differente.

3)      Conosco una moltitudine di persone che, nemmeno dopo cena,  lavano la bocca, lasciando residui di proteine animali e zuccheri che, durante la notte, danneggiano le strutture anatomiche del cavo orale e le rendono facile concausa predisponente ad ogni infettabilità per qualunque germe di qualunque natura. Queste persone si preoccupano di rendere il proprio alito accettabile, al mattino, dopo che la notte si è realizzato lo scempio nella loro bocca, che è la principale porta di ingresso all’organismo, per di più molto vicina all’encefalo e ai principali organi linfatici d’avanguardia.

I Medici devono riappropriarsi del ruolo di maestri di vita e devono curare la vera prevenzione primaria delle malattie. Su tale argomento non bisogna lesinare in spese, ma tutto ciò produrrebbe un reale decremento delle malattie in genere, comprese quelle infettive.

Potremmo continuare con mille esempi che dimostrano come il concetto di contagiosità, negli esseri umani, passa dai comportamenti tenuti, dalla profondità del ruolo del Medico che indaga sugli stessi, li corregge, svolge una reale azione preventiva, per cui il modello matematico dell’immunità di gregge fa solamente ridere e finisce per considerare gli individui come numeri con i quali allenarsi a metter su equazioni prive di qualunque contatto con la realtà.

E’ come quando, in televisione, i giornalisti pagati per questo, affermano che è in arrivo l’influenza!

Sembra che si tratti di un treno, un mezzo di trasporto….davvero patetico!

Che cosa c’è di scientifico in una tale espressione?

Attorno alla parola “Contagio” si può discorrere moltissimo per giorni.

Attenzione, però, perché è come quando la segnaletica stradale per indicare la presenza di cinghiali, usa un segnale con la sagoma di una gazzella!!!!

Anche considerare che la lettera A di ogni tastiera si consuma più presto e di più, rispetto alle altre lettere, deve indurre che, senza profondità, non si possono trarre conclusioni affrettate su qualunque argomento.

Chi ha orecchi intenda.   Chiaro?

 

Dr. Salvatore Rainò,  Immunologo Clinico, Clinico Medico

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