Embriogenesi

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Sottofondo musicale consigliato:    “ange et elfe sur musique de Michel Pépé : la vallée des anges”

Embriogenesi

In natura, per comprendere le malformazioni, bisogna conoscere il meccanismo denominato embriogenesi, che riguarda la formazione di un organismo, a partire dall’unione del gamete maschile con quello femminile, comunque all’origine della vita.

Vi è un ordine, che si evince dall’osservazione di ogni fenomeno morfologico in divenire. Per poterlo osservare, occorre disporre degli strumenti adeguati, atti a leggere il senso del movimento attraverso la generazione delle forme.

La morfogenesi è la lettura dei motivi del tempo attraverso le forme possibili.

All’inizio, da due cellule, eguali e diverse, nella loro dualità possibile, maschile e femminile, si crea una nube ancestrale totipotente, che potrebbe avere ogni destino possibile.

Tuttavia vi è un ordine invisibile, che si disvela solo col tempo, e che resta nascosto alla luce, chiuso come esso è, nell’interno di un utero, che appartiene ad una creatura, che ha sviluppato, a sua volta, soprattutto alcune di quelle attitudini bipartite nei gameti, che hanno reso possibile la sua vita stessa, un giorno, in un altro utero di un’altra creatura.

Una serie di uteri, estranei, eppure consenzienti, hanno reso possibile l’evoluzione della vita nelle sue varie morfologie e funzionalità, attraverso generazioni, atmosfere, epoche, attraverso l’iter della differenziazione, ontogenetica e filogenetica, fra il tutto e il nulla che possono determinare espressioni di ogni genere.

Nani e giganti, piccoli e grandi, sensibili e cinici, stolidi e geniali, fino a non poter nemmeno riconoscere alcuni assortimenti, così arditi, da sfiorare solo  lontanamente la prevedibilità.

La teratogenesi, che, in medicina, si occupa delle mostruosità, ha provato che, talvolta, è davvero ingrato dover constatare quanto capricciosa possa essere l’arte dell’evoluzione spaziotemporale nella morfogenesi degli individui.

Quanto ingrata può essere tale situazione, tanto misteriosamente provvidenziale può configurarsi l’assortimento di forme, funzioni e, nell’animo umano, sfumature animiche, tali da sfiorare l’incanto estatico nel solo poter considerare una tale eventualità.

“Rara virtus” è un concetto che si riferisce ad assortimenti così positivamente sorprendenti, da  essere con fatica ritrovabili nello scorrere del  tempo e delle vicende della Terra.

La morfogenesi riguarda ogni possibile caratteristica, non solo somatica, ma anche e, direi, soprattutto interiore dell’individuo. Infatti, in fin dei conti, persino la forma di un volto, ad una certa età, altro non è che la sedimentazione nella mimica fisiognomica di ogni tratto mentale, volitivo, emozionale che soffia la persona dal suo interno come l’aria da vita all’anfora di cristallo nelle mani del suo artigiano.

Il soffiatore pone in movimento un pezzo di vetro portato alla sua temperatura di fusione e, prima che esso torni a raffreddarsi, infonde la sua attitudine creativa e la invita ad assecondare il suo soffio di vita: il creatore vero e proprio di una sola possibilità fra miliardi e miliardi di varianti ipotetiche è accoppiato al destino ancestrale della sua creatura. La vita, la forma, la funzione, l’energia che prende forma nella sua modalità possibile.

E’ evidente che, all’espressione delle modalità visibili, presiede un progetto invisibile, generalmente impossibile da rilevare, eppure origine del tutto.

Quali sono le ragioni profonde della vita di ognuno di noi? Quelle che non si vedono e non si toccano, quelle che i piani materiali scontati ricoprono senza concedere la luce.

La vita si astrae dalla permanenza di una forma nota e apparentemente stabile e, nell’oscurità, sottoterra, nella morte di una condizione, trova una nuova espressione possibile che ricombina la totipotenza di ogni elemento costitutivo e che ne rende evidente la ragione nascosta.

Siamo abituati ad essere in un certo modo? Cambiamo le nostre abitudini!

Siamo abituati a sentirci sicuri nelle nostre abitudini? Cambiamo le nostre sicurezze!

Siamo abituati a sentirci? Cambiamo l’esigenza di farlo!

Occorre morire, per rinascere.

Dove risiede l’intelligenza che alberga nella ragione delle forme?

Esiste un codice che trova la sua forma ove soltanto esiste il vuoto necessario ad accoglierla.

Il vuoto diventa una funzione importante per consentire l’espressione della forma. Ciò è vero nello spazio, è vero nelle forme, è vero nelle funzioni, è vero nelle formule in cui decidiamo di esprimere il nostro essere, che non sapremo mai quando abbia raggiunto effettivamente l’acme della sua ragion d’essere.

Parliamo ora degli stili di vita che caratterizzano la nostra quotidianità. Ognuno di noi media una pulsione primordiale di sé con uno spazio contingente che si distribuisce attorno alla sua forma esteriore.

L’abitudine crea una parvenza di sicurezza e scoraggia il cambiamento, che genererebbe un dissesto della così detta “zona di comfort” , che garantisce il senso della sicurezza anche nell’insicurezza più estrema.

Habitus è il costume, è l’aspetto esteriore, è ciò che vogliamo trovare sempre davanti ai nostri occhi per non sentirci smarriti. Talvolta, quando abbiamo cambiato casa, nei primi tempi, abbiamo avuto difficoltà a ritrovarci nelle nostre sensazioni di sempre, ma non sappiamo nulla del vero sempre della nostra vita. Il sempre della vita è il mai dell’anima, quando ci rifiutiamo di prendere in mano il nostro destino.

Molti di noi hanno da sempre la sensazione di dover fare qualcosa di importante, che stanno rimandando continuamente,  e che da qualche parte della loro vita esiste nitida, anche se non si riesce a materializzare.

Ognuno di noi ha la certezza che valga la pena non tornare indietro, se si fosse intrapresa una strada, ma, quanto è difficile intraprendere una strada che ancora non si è trovata!

Il vivere sociale è accartocciato in mezzo a tante abitudini e convinzioni che non hanno per niente le caratteristiche per farci veramente vivere, secondo le nostre intenzioni, secondo la nostra vocazione.

Sembra strano, ma il senso profondo della vita è possibile soltanto ponendo la propria vita al servizio dell’altra persona che abbiamo di fronte a noi e che pensa alla vita nello stesso modo.

Intorno al cammino di ognuno di noi, vi sono le storie degli altri, che assomigliano alle nostre, se soltanto siamo disposti a muoverci, senza pregiudizio, nel tempo, per identificare il senso dell’esperienza del vivere stesso.

Ecco, allora, che la nostra personale esperienza diviene solo un momento percepito nella sua istantanea e limitata valenza e che assume tridimensionalità soltanto se scambiamo i nostri racconti con gli altri, al di fuori di qualunque contesto di mercato. L’unico scambio possibile può essere il dono, senza fretta di ricevere.

Il terzo millennio è sempre più caratterizzato dall’esigenza spontanea di dare senza ricevere, anche se potrebbe sembrare il contrario. Alla base della contrastante apparenza, vi è soltanto la paura, ma se riusciamo ad eliminare quest’ultima, possiamo scoprire quanta ricchezza può esserci all’interno della dimensione del dono.

Le città, tutte le città, hanno, dietro i muri dell’apparente individualismo, una grande città fatta dei sogni di tutti, visti come fratelli e come ineluttabile destino di ogni nostra azione veramente tesa a costruire qualcosa. La città degli Angeli, ove i desideri e le trepidazioni trovano risposta nella storia già raccontata da altri.

E allora, parlare di qualità della vita, parlare di salute, parlare di benessere è tutt’uno con la capacità e la volontà di rieditarsi in quel cambiamento che tanto sembra portarci lontano, ma che, invece, contiene gli aspetti con cui siamo più familiari in una dimensione nascosta dentro di noi come se fossimo l’utero fecondo che ospita una vita nuova con tutta la sua progettualità e con tutte le opere che il Pianeta aspetta per assurgere al sabato del villaggio.

Non dobbiamo aver paura della paura, non possiamo continuare a non fare, per paura di sbagliare, non possiamo tenere continuamente nell’oscurità la parte più luminosa della nostra vita.

Costa caro non spendersi, quanto costa poco spendersi, per ciò che si sente importante nel nostro mondo interiore, ove i valori hanno delle connotazioni tutte da scoprire.

Siamo chiamati a smettere di interessarci soltanto di ciò che più ci disturba e siamo chiamati a farlo nell’urgenza di un epoca che non ritornerà mai più.

Siamo ancora in grado di concepire qualcosa che abbiamo messo da parte, ripetutamente, siamo sul ciglio del baratro e, pressati dai mostri alle nostre spalle,  non possiamo non lanciarci in volo e librarci, finalmente leggeri, servendoci delle nostre ali che possono, ora, distendersi senza ostacoli.

E’ una visione incantata, che supera ogni limite e ci porta dove la luce non ha più ombre e dove non servirà più farsi incoraggiare da nessuno in particolare, poiché l’incoraggiamento sarà esso stesso il soffio di amore che alimenterà ogni nostra azione.

Non più uffici, ma postazioni,

non più leggi,  ma doveri

non più tasse, ma contributi

non più divieti, ma il rispetto

non più atrocità, ma tanto tanto coraggio

non più soldi, ma ogni condivisione utile

non più preghiere, ma una grande famiglia

non più figli, ma soltanto coloro che vengono sui nostri solchi

non più egoismo, ma la voglia di capire che cosa serve agli altri

non più religioni, ma l’unica paura utile, quella di non aver fatto

mai abbastanza.

Siamo all’alba di una nuova era e non tarderemo a convincercene, in tal modo che non avremo più dubbi e ci sentiremo strani, non per come saremo, ma per come siamo stati.

Il Futuro è pieno di opportunità, che non avremmo mai vissuto, se fossimo rimasti nella paura di viaggiare oltre!

4 COMMENTI

  1. Quando riscopriamo il dono, ritroviamo la pura gioia di farlo, non c’è più il “do ut des”.
    Quando questa assenza diviene sincera e profondamente consapevole, facciamo spazio per ricevere senza alcuna aspettativa e quello che iniziamo a ricevere diviene immensamente grande.
    Grazie Salvatore per averlo scritto, cosicché chi non lo ha ancora scoperto possa scoprirlo e chi lo sa e di tanto in tanto si distrae dimenticandolo se lo possa ricordare.

  2. c’e’ veramente poco da commentare…ma, al solito, leggendo gli articoli del nostro Salvatore, si rimane con quel senso ” strano ” che ti percorre il corpo e che quasi ti solleva dalla sedia… l’arte del dono che bella frase che fa star bene anche solo a leggerla, la parola che echeggia dentro di me è ” Condivisione delle Emozioni ” di qualsiasi genere…ancora grazie per quello che scrivi e per quello che la Tua anima vuole concretizzare nella amata terra madre…
    un abbraccio… bella quella foto…

    Nicola

  3. Caro, carissimo Toto’

    chissà se nel vuoto che costituisce il mio essere esistevano già le strade che mi hanno portato a conoscerti.

    Il concetto di “Il vuoto diventa una funzione importante per consentire l’espressione della forma.” mi intriga tanto, e tutte le altre considerazioni che ne discendono sulla forza della vita nostra, di coloro che ci hanno preceduto e di coloro che ci seguiranno.

    Il testo che ci hai donato, lo ho già letto tre volte. Ogni paragrafo contiene concetti elevati. Che sono amplissimi da ricevere e comprendere fino in fondo.

    Li intuisco, ne sono arricchito e piu sereno, grazie Toto’

    Riccardo

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